Istituto della purgazione della morosità e contratti di locazione commerciale
Per regola generale, scaturente dal combinato disposto degli artt. 1453 e 1455 del Codice Civile, quando nei contratti a prestazioni corrispettive (nei quali rientra anche il contratto di locazione) uno dei due contraenti non adempie a una o più delle sue obbligazioni, l’altro, se tali inadempienze non sono di scarsa importanza, può richiedere al giudice che il contratto venga risolto (cioè sciolto).
Da tale richiesta, inoltre, la parte che non aveva eseguito la sua prestazione non può più adempiere alla propria obbligazione. In relazione al contratto di locazione, per quanto interessa la nostra trattazione, viene in considerazione il caso del conduttore moroso, cioè dell’inquilino che inizia a non corrispondere più al locatore le dovute rate mensili del canone e/o gli oneri accessori (cioè i contributi condominiali, le utenze, ecc…); tale condizione di morosità legittimerà il locatore a presentare al giudice, oltre alla richiesta di pagamento degli oneri accessori e dei canoni di locazione rimasti insoluti, domanda di risoluzione del contratto e conseguente richiesta di restituzione dell’immobile.
Da tale richiesta giudiziale, in applicazione della regola generale su evidenziata, un pagamento tardivo del conduttore non avrebbe l’effetto e la capacità di impedire che il giudice condanni il medesimo alla restituzione in favore del locatore dell’immobile locato.
Sennonché, almeno per quanto riguarda le locazioni stipulate per uso abitativo, con l’istituto della purgazione della morosità (più comunemente conosciuto come “sanatoria”) di cui all’art. 55 della Legge 27 luglio 1978 n. 392, in deroga alla regola generale, il legislatore ha concesso al conduttore la facoltà di sanare la morosità pagando l’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori, oltre agli interessi legali su tali somme e oltre alle spese di giudizio, in occasione della prima udienza del giudizio di convalida di sfratto o entro altro diverso termine fissato dal giudice (di regola, non più di 90 giorni da predetta udienza); così, a seguito ed in virtù di tale pagamento, non potrà più essere emesso nei confronti dell’inquilino un provvedimento che dichiari la risoluzione del contratto e che lo condanni alla restituzione dell’immobile.
In passato, parte della dottrina e della giurisprudenza ha cercato di estendere l’applicazione di tale sanatoria anche alle locazioni commerciali, ma oggi la possibilità di tale estensione viene negata a seguito della sentenza n. 272/1999 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che ha “sposato” il diverso principio secondo cui per i rapporti di locazione aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo deve appunto trovare applicazione la più generale disciplina dettata dagli artt. 1453 ss. del codice civile e non quella speciale regolamentata dall’art. 55 della legge n. 392/78.
Per effetto di tale sentenza, infatti, praticamente tutta la successiva giurisprudenza, sia di merito sia della stessa Corte di Cassazione a sezioni ordinarie (vedasi, tra le tante, ad esempio: Cass. Civ., sez. III, 31 maggio 2010, n. 13248), si è conformata a tale principio enunciato dalle Sezioni Unite.
Peraltro, anche la questione di legittimità costituzionale del più volte nominato art. 55, in relazione alla addotta disparità di trattamento tra le locazioni abitative e quelle commerciali e in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede l’applicabilità della sanatoria anche per queste ultime, è stata ripetutamente dichiarata infondata, sul presupposto della tutela eccezionale che il legislatore ha inteso riservare all’interesse abitativo, certamente più intensa di quella generale riconosciuta all’interesse economico di cui è portatore il conduttore di immobili locati per uso diverso dall’abitazione (cfr. Corte Cost. n. 410/2001 e n. 448/1998).
Dobbiamo quindi ritenere che attualmente non sia mai possibile applicare alle locazioni aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso dall’abitazione l’istituto della sanatoria? In realtà, vi sono almeno due casi in cui è possibile applicarlo anche alle locazioni commerciali.
1) Penso innanzitutto al caso in cui le parti, in sede di redazione del contratto di locazione commerciale, abbiano inserito apposita clausola che consenta al conduttore di avvalersi dell’istituto della sanatoria di cui all’art. 55 della legge n. 392/1978: tale clausola è da ritenersi pienamente valida e legittima, in quanto non si pone in contrasto nè con l’art. 79 della medesima legge che commina la nullità di ogni pattuizione contenuta nei contratti di locazione commerciale diretta ad attribuire al locatore (e quindi non all’inquilino!) “altro vantaggio in contrasto con le disposizioni delle presente legge”, nè con il disposto del comma I dell’art. 1418 del codice civile (secondo cui una clausola deve ritenersi nulla quando è contraria a norme imperative), non ravvisandosi, nella fattispecie, contrarietà ad alcuna norma imperativa nella previsione di una maggiore tutela per la parte debole del rapporto.
Tali principi sono stati espressi recentemente dalla Sez. III della Corte di Cassazione con la sentenza del 30 marzo 2010 n. 7621, la cui massima così recita: “E’ valida la clausola – liberamente scelta e accettata dalle parti al momento della stipulazione di un contratto di locazione di immobile adibito a uso diverso da quello abitativo – che prevede la possibilità per il conduttore di sanare la mora in sede giudiziaria per non più di tre volte nel corso del rapporto, in deroga alla legge 27 luglio 1978 n. 392 che, all’art. 55, contempla tale tutela per i soli conduttori di immobili desinati a uso abitativo”.
Tale sentenza ha, inoltre, coerentemente riconosciuto la prevalenza della clausola concernente la possibilità di sanatoria rispetto a quella risolutiva espressa eventualmente anch’essa presente nel medesimo contratto.
2) Penso poi, ed infine, al caso in cui, facendo applicazione dei su esposti principi, in udienza, il locatore, richiestone dal conduttore, conceda a quest’ultimo di sanare la morosità, rinunciando spontaneamente alle domande di risoluzione del contratto e di restituzione dell’immobile.
In conclusione, ci sia concessa una riflessione de iure condendo: considerato il fatto che con la nuova Legge n. 413/1998 si è permesso anche al locatore di immobile destinato ad uso abitativo (come già invece avveniva per i contratti commerciali) di determinare liberamente il canone uscendo dalla restrittiva logica dell’equo canone e considerato anche il momento di forte crisi economica che sta attraversando il nostro amato Paese, ci sarebbe da chiedersi se il legislatore bene non faccia a rivedere il sistema delle locazioni, consentendo legislativamente (e, quindi, non solo convenzionalmente) anche al conduttore di immobile destinato ad uso diverso dall’abitazione di avvalersi dell’istituto della purgazione della morosità.
Avv. GIUSEPPE PETIX
Consulente legale UPPI BOLOGNA