EFFICIENTAMENTO ENERGETICO ED ESTETICA DELL’ABITARE
La sostenibilità ambientale è un concetto che, seppure a fatica, sta piano piano entrando nella nostra vita.
Il primo obiettivo, sin dai tempi del Protocollo di Kyoto (1997), è stata la riduzione delle emissioni inquinanti e i principali nemici dell’auspicata transizione green sono i combustibili fossili.
Per limitarne l’uso si è cercato di indurre le aziende a dotarsi di sistemi di produzione più ecocompatibili, di incentivare l’utilizzo di veicoli meno inquinanti e di ridurre i consumi legati all’edilizia.
I consumi associati agli organismi edilizi sono funzione delle caratteristiche dell’involucro (ovvero delle superficie opache e trasparenti che lo delimitano nello spazio) che determinano, in base alla destinazione funzionale, un determinato fabbisogno di energia.
Più performante è l’involucro minore è il suo fabbisogno energetico.
Una volta definito il fabbisogno, occorre soddisfarlo attraverso gli impianti tecnologici (riscaldamento, raffrescamento, produzione acqua calda, …) che, per funzionare, consumano combustibile e quindi inquinano: più efficienti sono gli impianti minore sarà il consumo energetico necessario per garantire la copertura del fabbisogno.
L’obiettivo dell’efficientamento energetico nell’edilizia è pertanto la riduzione del fabbisogno (interventi sull’involucro) e/o la riduzione dei consumi legati al suo soddisfacimento (interventi sugli impianti).
Per avviare un processo di efficientamento energetico dell’edilizia, non essendo sufficiente la finalità etica del benessere collettivo, in un mercato che pur cominciando a scontare nella quotazione immobiliare anche le caratteristiche energetiche continua a essere più legato ad altri fattori (estetica, location, prestigio, viabilità, …), il legislatore ha varato negli ultimi anni un programma di massici bonus fiscali.
L’effetto è stato positivo sul mercato dell’edilizia ma, la logica utilitaristica dell’approccio, ha portato ad una pericolosa standardizzazione degli interventi, determinati più che altro dal desiderio di sfruttare al massimo l’incentivo spesso realizzando anche interventi non indispensabili e, talvolta, addirittura lesivi delle caratteristiche edilizie dell’immobile.
Un esempio per tutti è rappresentato dal ricorso massiccio alla coibentazione delle pareti esterne mediante la realizzazione del cosiddetto “cappotto”.
L’intervento, di per sé energeticamente molto produttivo, è stato applicato però talvolta in modo meccanico sottovalutando il possibile insorgere di problemi collaterali sia a livello estetico che funzionale.
La sottovalutazione di questi aspetti è frutto spesso della fretta di poter rapidamente accedere al beneficio fiscale che induce, prima di tutto, ad una mancata valutazione iniziale degli interventi che dovrebbe prevedere una corretta informazione nei confronti dei condomini con i quali approfondire e dibattere i pro e contro dell’intervento, e, successivamente, ad un approccio progettuale specialistico e non multidisciplinare che non prevede di affiancare alle competenze termotecniche anche altre professionalità per un approccio più completo ed integrato.
Occorre comprendere da subito che, dopo l’installazione del cappotto, l’edificio cambierà aspetto e caratteristiche e che questo cambiamento, se non gestito ma semplicemente subìto, potrebbe riservare delle sorprese sgradite.
Senza entrare nel dettaglio perché l’argomento è troppo vasto e non può essere esaurito in questo contributo, si possono citare en-passant alcune problematiche che possono insorgere a seguito della realizzazione del cappotto:
- Omologazione delle caratteristiche edilizie dovuto alla perdita delle peculiarità architettoniche (si pensi alle decorazioni, ai motivi, ai rivestimenti, ai giochi cromatici che vengono coperti e di fatto nascosti dall’isolamento)
- Diffusione dei ponti termici conseguenti alla non corretta progettazione e/o realizzazione
- Perdita delle funzionalità dell’edificio per esempio a causa dell’applicazione di strati di cappotto di spessore di almeno 10 cm in corrispondenza di passaggi o di terrazzi.
La buona notizia è che, ammesso che il cappotto sia indispensabile e che questa scelta non sia dovuta alla mancata valutazione di interventi alternativi, ogni intervento di isolamento può e deve essere progettato in modo da minimizzare i suddetti effetti collaterali e, anzi, trasformare l’intervento in un’opportunità di riqualificazione anche estetica.
Occorre però superare la contrapposizione tra bello e utile, tra ciò che piace e ciò che conviene.
Occorre che la rivalutazione green non sia un’altra occasione persa e che la città non sia solo più pulita ed efficiente ma anche più bella ed accogliente e possibilmente senza perdere le proprie qualità peculiari.
Per ottenere questo obiettivo la ricetta è tutto sommato semplice: occorre da parte del progettista un approccio non esclusivamente tecnico, ma aperto a sensibilità architettoniche, urbanistiche e storiche e disponibile al confronto con tutti i fruitori dell’oggetto edilizio, attento certo alle esigenze normative, ma anche alle istanze di altro tipo (anche a quelle isolate e ritenute marginali) che devono essere tenute in considerazione come contributi critici utili ad un approccio non standardizzato.
E se è vero che talvolta le problematiche nascono dall’acritica applicazione della tecnologia, è anche vero che è la stessa tecnologia ad offrirci talvolta le soluzioni: sono sul mercato cappotti speciali che consentono di ridurre lo spessore a 2-3 cm, finiture superficiali che riproducono diverse texture materiche e cromatiche, rimedi per risolvere i ponti termici.
Ing. Massimo Corsini