Diritto di recesso nei contratti di mediazione immobiliare

Diritto di recesso nei contratti di mediazione immobiliare

Ci occupiamo, in questo articolo, del contratto di mediazione in una vendita immobiliare, con particolare riferimento al diritto di recesso riconosciuto in favore del cliente. In altri termini ci chiediamo se, ed in che misura, sia applicabile la disciplina del Codice del Consumo a quel particolare tipo di mediazione nel quale la raccolta del relativo incarico, con il quale appunto il cliente incarica l’agenzia di svolgere la sua attività di promozione dell’immobile (ai fini della sua vendita o locazione), avvenga attraverso la visita a domicilio di un incaricato (cosiddetto “acquisitore”), che prospetta al consumatore i vantaggi derivanti dall’affidarsi a quella determinata agenzia.
La descritta modalità di conclusione del contratto di mediazione porta, quindi, a ritenere applicabili le norme che il Codice del Consumo riserva (artt. 45 ss.) ai cc.dd. “contratti negoziati fuori dai locali commerciali”, ovvero esternamente al luogo nel quale usualmente opera il professionista.
Sono tali, ad esempio, i contratti perfezionati nell’abitazione del consumatore oppure durante un’escursione organizzata dal professionista al di fuori dei propri locali per offrire una “dimostrazione” dei propri prodotti o servizi. In questi casi, la tutela del consumatore si sostanzia, da un lato, nel diritto ad essere adeguatamente e preliminarmente informato su tutti gli aspetti di rilievo del contratto e sulle facoltà e poteri che gli spettano in proposito, e, dall’altro, in un diritto di recesso (o ius poenitendi) esercitabile, incondizionatamente e senza subire perdite di sorta, entro dieci giorni lavorativi dalla stipulazione del contratto.
Tale diritto risponde, quindi, all’esigenza di permettere al cliente di apprezzare pienamente l’affare, lasciandogli il tempo di valutarne l’opportunità o la convenienza, e, nel caso, di esercitare quella facoltà unilaterale di scioglimento del contratto che è il recesso. Tuttavia, contro l’applicazione di tale disciplina, si scontra il dato letterale dell’art.46 lett. a) C. Cons., laddove essa viene testualmente esclusa per “i contratti per la costruzione, vendita e locazione di beni immobili ed i contratti relativi ad altri diritti concernenti beni immobili, con eccezione dei contratti relativi alla fornitura di merci e alla loro incorporazione in beni immobili e dei contratti relativi alla riparazione di beni immobili”.
A questo punto vi è da domandarsi se all’interno di tale formulazione rientrino anche i contratti di mediazione immobiliare. Tale soluzione, che si ferma ad una lettura letterale-formale, non appare convincente se si osserva la natura sui generis di tale tipo di contratto, il quale difficilmente è annoverabile tra i contratti di fornitura di un servizio. Anzi, la professionalità della prestazione è tale da spostare il rapporto verso il contratto d’opera.
Si aggiunga poi che l’attività di intermediazione immobiliare ha come oggetto specifico unicamente la messa in relazione di due o più parti per la conclusione di un affare, mentre la conclusione dell’eventuale contratto di vendita costituisce solamente un effetto eventuale e successivo, ancorché collegato, dell’attività di intermediazione. Tanto è vero che nell’ambito dell’attività di intermediazione per la vendita di immobile, l’affare si ritiene concluso, e per il mediatore sorge il diritto al pagamento della pattuita provvigione, non già all’atto dell’effettiva vendita dell’immobile (rogito notarile) bensì in un momento anteriore ossia all’atto della conclusione di un contratto preliminare con il quale le parti nulla ancora vendono od acquistano, ed anche indipendentemente dall’effettiva successiva conclusione di specifico contratto di vendita. Sul punto, quindi, l’uso nella norma della locuzione “per” è destinato a lasciare dubbi in proposito, ma la tendenza seguita in dottrina è quella a favore dell’esclusione del contratto di mediazione dal novero dei contratti di fornitura dei servizi, con ciò ammettendo l’applicazione ad esso della disciplina sul recesso.
A questo risultato spinge poi una logica di protezione del consumatore, nei casi in cui il rapporto con il mediatore trovi origine in un incarico scritto o verbale raccolto fuori dei locali commerciali. Ciò, si badi, se sussistono determinate condizioni. Infatti, vanno sempre considerate la situazione soggettiva dei contraenti e le modalità concrete in cui si sono atteggiati il rapporto e la formazione del consenso.
Così, il contratto stipulato presso l’abitazione del consumatore difficilmente sarà qualificato come contratto negoziato fuori dei locali commerciali qualora il rapporto tra le parti sia iniziato presso la sede del professionista. Ciò che vale ad escludere quell’ “effetto sorpresa” che caratterizza i contratti conclusi nel domicilio del cliente e che il Codice del Consumo si propone di disciplinare.
Lo stesso accade quando la scelta di affidarsi al mediatore per la vendita dell’immobile, pur concretizzatasi fuori dei locali commerciali dello stesso, sia comunque il frutto di una scelta meditata ed indipendente del venditore, il quale per primo si è messo in contatto con il professionista.
Ancora, è esclusa la liceità del recesso, con la conseguenza che il professionista ha diritto ad essere risarcito per il mancato guadagno, nel caso in cui il consumatore, prima di recedere, abbia consapevolmente acconsentito all’esecuzione del contratto. In generale, e concludendo, per appurare se il recesso sia stato legittimamente esercitato, si dovrà avere riguardo al principio di buona fede, il quale governa ed ispira tutta la disciplina del diritto dei contratti.

Avv. Maria Beatrice BERTI
Delegazione UPPI IMOLA