Cessazione della convivenza e comune abitazione

Cessazione della convivenza e comune abitazione

Il convivente non può essere estromesso dall’abitazione, anche se non (o non più) di sua proprietà, senza congruo preavviso.
L’evoluzione della famiglia italiana, e la scelta, sempre più frequente rispetto al passato, di molte coppie di non sugellare la loro unione con un vincolo matrimoniale, ma di instaurare, invece, una convivenza stabile e continuativa, cosiddetta “more uxorio”, offre sempre più spunti ai giudici per affrontare l’argomento della rilevanza giuridica e di dignità del rapporto di convivenza.
Pur non avendo ancora la famiglia di fatto, vale a dire non instaurata in costanza di matrimonio, un pieno ed esclusivo riconoscimento giuridico, il convivente viene già citato in qualche importante norma di legge, che riconosce la sua tutela giuridica al pari del coniuge.
Si ricordano, a tal proposito:
1) articolo 342 codice civile, sugli ordini di protezione anche del convivente contro gli abusi familiari;
2) articoli 417 c.c. e 408 c.c. sull’amministrazione di sostegno che introducono accanto al coniuge la persona stabilmente convivente;
3) l’articolo 44 L. 184/83 permette in alcuni casi l’adozione anche per chi nonh è coniugato;
4) in materia di procreazione assistita anche le coppie conviventi non coniugate possono accedere alle tecniche;
5) in materia di consultori familiari non vi è alcuna distinzione tra coppie di conviventi e coniugi;
6) a livello giurisprudenziale è ormai acquisito il diritto del partner che conviva more uxorio ad essere risarcito in caso di morte del compagno, sia per il danno morale sia per il danno patrimoniale derivante dalla perdita del contributo economico, sempre che la relazione sia caratterizzata da stabilità e mutua assistenza morale e materiale (Cass. Civ. n° 23725/2008);
7) anche il convivente more uxorio affidatario di prole naturale succede nel contratto di locazione stipulato dal defunto convivente ai sensi della L. 392/78
.

La tutela scaturisce dalla considerazione che la famiglia di fatto può essere considerata come “formazione sociale” riconosciuta dal diritto (articolo 2 Cost) che diventa fonte di doveri morali e sociali per ciascun convivente nei confronti dell’altro.
La Corte di Cassazione, con una recentissima e importante sentenza del 21 marzo 2013, numero 7214, pur riconoscendo la non equiparazione alla famiglia fondata sul matrimonio , ha sancito e stabilito che l’unione comunque caratterizzata da stabilità e contribuzione reciproca comporta che non si possa parlare di “ospitalità” per il convivente non proprietario e che, di conseguenza, lo stesso non può essere estromesso improvvisamente dall’abitazione che divideva con il/la convivente, nel momento in cui il rapporto sentimentale si interrmpoe, ma che ha diritto di vedersi attribuito un congruo termine al fine di trovare un’altra sistemazione abitativa.
La Suprema Corte sostiene infatti che la convivenza more uxorio determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua un programma di vita comune, un potere di fatto basato su un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità; conseguentemente, l’estromissione violenta o clandestina del convivente dall’unità abitativa, compiuta dal partner, giustifica il ricorso alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione a tutela del possesso (cosiddetta di spoglio) nei confronti dell’altro quand’anche il primo non vanti un diritto di proprietà sull’immobile che, però, durante la convivenza, sia stato nella disponibilità di entrambi.
La distinzione tra convivenza e matrimonio, specifica la Suprema Corte, non comporta che, in una unione libera che tuttavia abbia assunto (per durata, stabilità, esclusività e contribuzione) i caratteri di comunità familiare, il rapporto del soggetto con la casa destinata ad abitazione comune, ma di proprietà dell’altro convivente, si fondi su un titolo giuridicamente irrilevante come l ‘ospitalità, anziché su un accordo a contenuto personale (negozio giuridico) fondato sulla scelta di vivere insieme e di instaurare un consorzio familiare, anche socialmente riconoscibile.
Nel caso trattato dalla Sentenza citata, l’uomo aveva venduto l’appartamento già in comproprietà alla propria convivente (con un atto in cui veniva menzionata, oltre al trasferimento di proprietà, anche la cessione del possesso); quest’ultima aveva ottenuto la consegna delle chiavi del convivente, una volta interrotta la convivenza stessa, davanti ai carabinieri in caserma, ove i contendenti si erano recati, ed il cui intervento era stato richiesto per il timore di avere i ladri in casa.
Invece di chiarire, doverosamente, che non si trattava di un ladro, bensì del convivente (che non si era introdotto in casa furtivamente ma utilizzando, come sempre, le chiavi di cui era in possesso) costei aveva fatto credere ai carabinieri, esibendo una copia del contratto di acquisto dell’immobile, di trovarsi di fronte ad un intruso, ad un usurpatore che aveva commesso violazione di domicilio a suo danno.
Il convivente aveva acconsentito, per motivi di opportunità alla richiesta di consegna delle chiavi alla ex compagna, ma ciò non significava volontaria rinuncia alla situazione di fatto, né libera intenzione di rilasciare l’immobile.
La donna aveva affermato che la convivenza era in realtà già terminata e che comunque la situazione di compossesso non poteva essere dedotta dalla convivenza more uxorio tra le parti trattandosi di sola ospitalità.
La Corte d’Appello e, dopo la Suprema Corte di Cassazione, hanno chiaramente negato che la posizione del convivente possa essere equiparata semplicemente alla posizione di un ospite.
Al convivente che goda con il partner dello stesso bene, deve essere riconosciuto una situazione assimilabile alla detenzione autohnoma, fondata sulla relazione familiare. Il principio importante che è stato così recentissimamente e autorevolmente stabilito, afferma che l’unione caratterizzata dalla stabilità e contribuzione reciproca, comporta che non si possa parlare di ospitalità per il convivente non proprietario e, di conseguenza, lo stesso non può essere improvvisamente estromesso dall’abitazione ove abitava con l’ex, ma ha diritto di vedersi attribuito un congruo termine al fine di reperire una diversa sistemazione abitativa.

Avv. Francesca URSOLEO
Consulente Legale UPPI Bologna .