LE AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO

Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.

Le azioni a tutela del possesso, definite azioni possessorie, sono quelle azioni con cui il possessore tutela una posizione di fatto e non una posizione di diritto.

Le azioni possessorie infatti tutelano colui che di fatto esercita il possesso su un bene e possono arrivare a tutelare tale possesso, anche nei confronti del legittimo titolare del diritto (per esempio un proprietario).

Le azioni possessorie sono l’azione di reintegrazione o di spoglio (art. 1168 c.c.), l’azione di manutenzione (art. 1170 c.c.) e le azioni di nunciazione (azioni di nuova opera e di danno temuto: artt. 1171-1172 c.c.).

Le domande di reintegrazione e di manutenzione nel possesso si propongono con ricorso al giudice competente a norma dell’art. 21 c.p.c.

Il giudice provvede ai sensi degli artt. 669-bis ss. c.p.c., in quanto compatibili.

Il procedimento è, dunque, un procedimento più snello rispetto ad una causa ordinaria e di norma ha conseguentemente una durata più breve.

L’ordinanza che accoglie o respinge la domanda è reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies c.p.c.

Al termine del procedimento, se nessuna delle parti promuove il successivo procedimento di merito, il provvedimento possessorio assume stabilità.

Pertanto, a seguito del D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (convertito con modificazioni nella l. 14 maggio 2005, n. 80), che ha introdotto un nuovo testo dell’art. 703 c.p.c., applicabile ai procedimenti possessori instaurati a decorrere dal 01 marzo 2006, è stata eliminata la necessità che al procedimento possessorio segua il processo di cognizione piena relativo al merito.

L’azione di reintegrazione o di spoglio

Tale azione può essere esercitata dal possessore che è stato violentemente od occultamente spossessato.

Lo spossessamento consiste nella privazione della cosa da parte di un soggetto con la consapevolezza di sostituirsi nel godimento del bene contro la volontà, anche solo presunta, dello spogliato.

Il termine entro cui deve essere esercitata l’azione in esame è di un anno dall’avvenuto spoglio.

Se, però, lo spoglio è clandestino (ovvero avvenuto all’insaputa del possessore) il termine decorre dal giorno della scoperta dello spoglio.

Nel caso di spoglio posti in essere con più atti, il termine di un anno decorre dal primo atto, senza che si possa tenere conto di quelli successivi, quando questi siano legati tra loro da un nesso di inscindibile dipendenza, mentre, qualora si tratti di atti autonomi, ciascuno dei quali costituisca uno spoglio a se stante, il suddetto termine decorre dall’ultimo atto.

L’azione di manutenzione

Scopo di tale azione è la cessazione della molestia nel possesso di un bene immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di una universalità di mobili, ovvero il recupero del bene di cui il possessore è stato privato mediante uno spoglio non violento o clandestino.

Secondo la giurisprudenza, per turbativa o molestia deve intendersi qualsiasi attività che costituisca espressione di una volontà contraria al possesso altrui.

Condizioni per l’esercizio sull’azione sono che il possesso di colui che agisce in manutenzione duri da oltre un anno, continuo e non interrotto, e non sia stato acquistato violentemente o clandestinamente.

Qualora il possesso sia stato acquistato in modo violento o clandestino, l’azione può nondimeno esercitarsi decorso un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità è cessata.

L’azione di manutenzione deve essere esercitata entro un anno dalla turbativa (anche in questo caso si tratta di termine di decadenza).

La denunzia di nuova opera

Con tale azione, il titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento o il possessore, che teme che dall’opera intrapresa da altri possa derivare un danno al proprio bene può rivolgersi all’Autorità Giudiziaria al fine di veder interrotta la nuova opera oppure realizzata con le opportune cautele.

Tale azione è esperibile purché questa non sia terminata e non sia trascorso un anno dal suo inizio.

Ai fini della legittimità dell’azione, non è richiesta la prova della colpa e del dolo del danneggiante, essendo sufficiente l’effettiva presenza del danno, che può essere anche futuro, ovvero che sorgerebbe una volta completata l’opera.

Il procedimento di denunzia di nuova opera è bifasico, ovvero è composto da una prima fase cautelare, ove l’Autorità Giudiziaria assume con urgenza i provvedimenti idonei ad evitare il danno ed una fase di merito a cognizione piena per la conferma della legittimità dell’azione.

La denunzia di danno temuto

Con tale azione, il titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento o il possessore, che teme che da un bene altrui possa derivare un grave danno al proprio bene può rivolgersi all’Autorità Giudiziaria, che, qualora ne ravvisi la necessità, assumerà i provvedimenti più idonei ad evitare i danni paventati.

Contrariamente alla denuncia di una nuova opera, la denuncia di danno temuto non è soggetta a termini di decadenza, proprio in ragione della sua funzione. Ne consegue che può essere legittimamente presentata fino a quando il pericolo è in atto, e in maniera indipendente dalla decorrenza dell’anno del suo inizio.

Secondo la giurisprudenza, la condizione dell’azione di danno temuto non deve individuarsi in un danno certo o già verificatosi, bensì anche nel (solo) ragionevole pericolo che il danno si verifichi.

Ad essere rilevante nell’azione di denuncia di danno temuto sia la relazione tra cosa e cosa nei termini secondo cui la cosa esistente sul fondo altrui può essere costitutiva di pericolo per il proprio fondo. Dunque, la denuncia di danno temuto non può essere proposta nel caso in cui vi siano rapporti tra cosa e persona, come potrebbe avvenire nell’ipotesi di denuncia per tutelare un proprio diritto personale (come l’incolumità fisica), per la quale sarebbero esperibili altre azioni.

 

Avv. Marco Perrina

Delegazione UPPI SAN LAZZARO DI SAVENA