ORIENTAMENTI DEI GIUDICI – GIUGNO 2018
1) Mancata o tardiva registrazione del contratto di locazione. Pattuizione di aumento del canone.
Il quesito. Quali sono gli effetti di un contratto di locazione non registrato o registrato tardivamente? È legittimo il patto che preveda un aumento del canone?
La risposta della Cassazione.
A tali interrogativi ha dato risposta la Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n.23601/2017.
In particolare la Corte ha affermato i seguenti principi di diritto:
- la mancata registrazione del contratto di locazione di immobili determina la nullità dello stesso;
- qualora il contatto di locazione sia nullo per (la sola) omessa registrazione, questo può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc (ovvero retroattivamente), purchè si proceda alla la registrazione seppur effettuata tardivamente;
- qualora le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato tale patto è nullo anche a ; prescindere dall’avvenuta registrazione.
2) Richiesta copie documenti condominiali e compensi dell’amministratore.
Il quesito. L’amministratore ha diritto ad un compenso per l’attività di rilascio copia di documenti effettuata su richiesta del condomino?
La risposta della Cassazione.
No. L’art. 1129, comma 2, c.c., prevede espressamente che l’amministratore debba comunicare ai condomini il locale dove si trovano i registri condominiali, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, su preventiva richiesta, possa, prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata.
L’esercizio di tale facoltà da parte del condomino però non deve risolversi in un onere economico per il condominio, sicché i costi relativi alle operazioni compiute devono gravare esclusivamente sui condomini richiedenti a vantaggio della gestione condominiale (Cass. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159); allo stesso tempo non possono costituire ragione di ulteriore compenso in favore dell’amministratore, trattandosi comunque di attività connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, e perciò ricompresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale (arg. da Cass. Sez. 2, 28/04/2010, n. 10204; Cass. Sez. 2, 12/03/2003, n. 3596). [Cass. Civ, Sez. 2, ord. n.4686/2018]
3) Caduta sul marciapiede. Un caso di responsabilità concorrente
Il quesito. Chi risarcisce il danneggiato caduto su marciapiede pubblico sul quale è istallata una grata per l’areazione di un cavedio condominiale?
La risposta della Cassazione.
La Suprema Corte di Cassazione ha affrontato la questione con l’ordinanza n. 2328/2018.
Nel caso deciso dalla Corte, il Comune è risultato essere proprietario sia del marciapiede – in quanto pertinenza della strada pubblica (Cass. Sez. 3, sent. 21 luglio 2006, n. 16770, Rv. 591472-01) che della grata in quanto parte integrante dello stesso, e il Condominio (o meglio, i singoli condomini), tenuto conto che la destinazione della grata è quella di assicurare aria e luce al cavedio condominiale – e dunque un’utilitas ad un bene di proprietà comune – l’effettivo utilizzatore della res.
L’effettivo utilizzo della grata da parte del Condominio (e per esso da ciascun condomino) risultava confermata anche dal fatto che l’ente di gestione avesse sempre provveduto al pagamento della tassa per l’occupazione di suolo pubblico, ovvero un tributo il cui presupposto impositivo è costituito dal solo fatto della utilizzazione, ovvero dalla “relazione materialmente instaurata con la cosa” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 5, ord. 8 settembre 2017, n. 21018, in corso di massimazione).
Orbene ritiene la Corte che il “criterio di imputazione della responsabilità per i danni cagionati a terzi da cosa in custodia ex art.2051 c.c. è la disponibilità di fatto e giuridica sulla cosa, che comporti il potere-dovere di intervenire” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 10 febbraio 2003. n. 1948, in motivazione; in senso conforme, Cass. Sez. 3, sent. 20 novembre 2009, n. 24530, Rv. 610784-01) e che “detta custodia può far capo a più soggetti a pari titolo, o a titoli diversi”, a condizione “che importino tutti l’attuale (co)esistenza di poteri di gestione e di ingerenza”,
Nel caso di specie, dunque, accertato che il Comune non avesse riservato a sé, in via esclusiva, la custodia della grata, la Corte, in virtù dei principi sopra enunciati, confermava la sentenza impugnata nella parte in cui aveva statuito la sussistenza della responsabilità concorrente del Comune e del Condominio.
4) Schiamazzi notturni in Condominio.
Il quesito. Urlare e lanciare oggetti in condominio costituiscono reato?
La risposta della Cassazione.
Ai fini del perfezionamento della fattispecie criminosa di cui all’art 659 c.p. – disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone – è necessario che le emissioni sonore siano potenzialmente idonee a disturbare un numero indiscriminato di persone secondo il parametro della normale tollerabilità, indipendentemente da quanti se ne possano in concreto lamentare (cfr. Sez. 1, n. 7748, 28 febbraio 2012; Sez. 1, n. 44905, 2 dicembre 2011, Sez. 1, n. 246, 7 gennaio 2008; Sez. 1, n. 40393, 14 ottobre 2004; Sez. 3, n. 27366, 6 luglio 2001; Sez. 1, n. 1284, 13 febbraio 1997; Sez. 1, n. 12418, 17 dicembre 1994). Dice ancora la Corte che “È necessario che i rumori abbiano una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito dalla collettività, in tale accezione ricomprendendosi ovviamente il novero dei soggetti che si trovino nell’ambiente o comunque in zone limitrofe alla provenienza della fonte sonora, atteso che la valutazione circa l’entità del fenomeno rumoroso va fatta in relazione alla sensibilità media del gruppo sociale in cui il fenomeno stesso si verifica” (Sez. 3, n. 3678 del 01/12/2005 – dep. 31/01/2006, Giusti, Rv. 23329001).
Nel caso di specie il rumore (urla e rumori riconducibili alla rottura di vetri o di oggetti), essendo percepibile anche all’esterno dell’edifico è, a parere dei giudici, idoneo ad arrecare potenziale disturbo ad un numero indeterminato di persone costituite dai condomini residenti e da chiunque altro si trovasse in quel frangente nell’immobile, e non soltanto agli occupanti degli appartamenti ubicati in prossimità del luogo in cui il prevenuto stava dando sfogo ai suoi impeti iracondi.
Per quanto sopra l’imputato è stato giudicato colpevole del reato di cui all’art. 659 del codice penale (Cass. Pen. Sez. 3, n. 9361/2018).
5) Piante private nelle aiuole comuni.
Il quesito. Il singolo condomino può porre proprie piante nella aiuole comuni?
La risposta della Cassazione: si
Un condominio proponeva impugnazione avverso due diverse delibere condominiali con le quali il Condominio da un lato aveva stabilito che le aiuole e gli spazi verdi condominiali dovevano essere lasciati liberi da qualsiasi ingombro, provvedendo quindi, l’amministratore a rimuovere vasi e piante ivi istallate dal condomino e dall’altro il divieto di utilizzare le aiuole condominiali per “piantarvi essenze vegetali, di deporre vasi o materiali sugli spazi comuni e nei pressi di taluni pilastri, nonché la recisione della pianta rampicante collocata nell’aiuola condominiale a ornamento del balcone” di un condomino.
Il Tribunale in funzione di giudice d’appello accoglieva le doglianze del condomino annullando le due delibere impugnate.
A parere della Suprema Corte la decisione del Tribunale sarebbe in continuità con gli orientamenti già espressi dalla Corte stessa per cui “ l’art 1102 cod. civ., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile; ne consegue che, i suddetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con i quorum prescritti dalla legge (fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni)”.
Ritiene la Corte “Nel caso di specie l’affermazione del tribunale, secondo la quale sarebbero illegittime […], le delibere in questione, in quanto, impedirebbero ai singoli condomini di porre proprie piante a dimora nelle aiuole comuni (con rimozioni di arbusti privati), ravvisando un intento emulativo e un abuso di maggioranza, con statuizione secondo cui la piantumazione è “espressione del diritto di ciascun condomino di migliorare l’uso delle aiuole ex art. 1102 c.c., non contrasta con la retta interpretazione di questa norma, pur essendo eventualmente opinabile nel merito”.
Avv. Rosalia Del Vecchio
Delegazione UPPI Castelmaggiore – Granarolo dell’Emilia – Argelato