IL TRIBUNALE DI ROMA A FAVORE DEI PROPRIETARI

Con una recente ordinanza del 16.12.2020 il Tribunale di Roma – Sez. IV si è pronunciato su una materia di stretta attualità nell’ambito del diritto delle locazioni: quella della sussistenza o meno, in capo al conduttore, di una pretesa alla riduzione del canone di locazione di un immobile ad uso commerciale in cui ha sede un esercizio del quale, in virtù delle disposizioni disposte dal Governo nel quadro delle misure adottate in funzione di contenimento dell’emergenza epidemiologica da SARS Cov-2, sia stata disposta la chiusura, come accaduto anche per analoghe attività rientranti in determinate categorie merceologiche.

Nel giudizio in questione, instaurato dal proprietario di un immobile per la convalida di sfratto per morosità e per l’emissione di un decreto ingiuntivo per il pagamento di canoni insoluti, la parte conduttrice convenuta sostiene, al fine di contestare la richiesta dell’attore, che dall’emergenza sanitaria sarebbe derivata una alterazione del rapporto sinallagmatico tipico del contratto, connessa ad una impossibilità di beneficiare pienamente del godimento del bene, che comporterebbe la necessità di una revisione delle condizioni contrattuali: ciò comporterebbe, secondo la tesi del conduttore, la possibilità di addivenire ad una  reductio ad equitatem del canone di locazione, in applicazione dell’art. 1467, comma 3, c.c., anche in applicazione del principio di buona fede di cui all’art. 1175 c.c.

Il Tribunale di Roma, non condivide la tesi prospettata dalla parte convenuta per una serie rilievi, fondati su un’ampia analisi, condotta in senso critico, delle disposizioni adottate dal Governo nel quadro delle misure disposte ai fini del contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, e che si possono come di seguito sinteticamente riepilogare:

  • l’emergenza epidemiologica non comporta di per sé un impedimento in senso assoluto al godimento del bene, a differenza di altre ipotesi quali il crollo dell’edificio a seguito di terremoto;
  • La limitazione al godimento dell’immobile, nonché allo svolgimento dell’attività imprenditoriale (costituzionalmente riconosciuta) che nello stesso si esplica, è invece imputabile all’adozione di provvedimenti, che assumono la veste formale del DPCM, i quali, sul presupposto dell’emergenza sanitaria, sono intervenuti a comprimere i diritti e le libertà dei cittadini;
  • I suddetti provvedimenti hanno natura non normativa bensì amministrativa traggono legittimazione dalla delibera del Consiglio dei Ministri del 31.1.2020 con cui è stato dichiarato “lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”: tale ultima fattispecie peraltro non trova copertura in alcuna norma né a livello costituzionale (artt. 78 e 87 Cost. In materia di dichiarazione dello stato di guerra) che di legislazione ordinaria (art. 7, comma 1, lett. c), D.lgs. N. 1/2018, in cui si fa riferimento esclusivamente ad “emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale – ad es. terremoti o alluvioni –o derivanti dall’attività dell’uomo -ad es. sversamenti di sostanze inquinanti”), dovendosi così concludere per l’illegittimità di detta delibera in quanto emessa in assenza dei relativi poteri da parte del Consiglio dei Ministri, con effetto viziante di tutti gli atti amministrativi conseguenti, che risultano parimenti illegittimi. A ciò si aggiunga il fatto che i DPCM, sebbene emanati sulla base di una delega concessa da un decreto-legge (convertito in legge) ma in assenza di fissazione di termini e di fattispecie di tipizzazione dei poteri, non possono prevedere norme generali e astratte, peraltro limitative di diritti costituzionalmente tutelati, in virtù dell’art. 76 Cost. che disciplina l’ipotesi di delega dell’esercizio della funzione legislativa al Governo (ma giammai al solo Presidente del Consiglio dei ministri), sempre comunque previa “determinazione di principi e criteri direttivi”;
  • Anche senza voler accedere alla suddetta impostazione, peraltro dibattuta, di non conformità ai precetti costituzionali della tecnica consistente nell’imporre limitazioni ai diritti fondamentali con lo strumento del DPCM, rileva il Tribunale come questi ultimi appaiono ex se illegittimi, sia per violazione di legge sotto il profilo del difetto di motivazione, dovendosi considerare insufficiente il richiamo per relationem ai verbali del Comitato Tecnico Scientifico (CTS), che sono stati dapprima classificati come riservati, poi periodicamente pubblicati ma con una tempistica incompatibile con l’esercizio del diritto di difesa in giudizio: a ciò si aggiunga il fatto che la carenza motivazionale può costituire inoltre sintomo di ulteriori vizi, quali l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e contraddittorietà.

Per tali motivi, il Tribunale di Roma ritiene che, poiché il danno invocato dal conduttore non è configurabile come danno “da emergenza sanitaria” bensì come danno da attività  provvedimentale, da considerarsi illegittima, la parte avrebbe potuto (anzi, dovuto) impugnare detti provvedimenti lesivi dei propri diritti e libertà, richiedendone al Giudice l’annullamento per i vizi che ne inficiano la validità ed eliminando in tal modo in radice la causa degli effetti per lui dannosi. In questa ricostruzione, appare errato invocare anche principi come quello della buona fede nell’esecuzione del contratto da parte del locatore né altri istituti civilistici, previsti in astratto per il riequilibrio di eventuali alterazioni del sinallagma contrattuale, quali l’impossibilità sopravvenuta (art 1463 c.c.), anche in forma parziale (art. 1464 c.c.) ovvero sotto il diverso profilo della ripetibilità di quota parte del canone (art. 1258 c.c.), l’impossibilità temporanea di adempiere alla prestazione (art. 1256 c.c.), l’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), in quanto nel caso in esame non ricorrono i presupposti di applicazione delle fattispecie normative in rassegna, in considerazione della temporaneità  e della non definitività della situazione concreta di crisi legata all’emergenza epidemiologica.

In ogni caso, ammesso e non concesso (il che non è, per le considerazioni sopra richiamate) che possa ravvisarsi un’alterazione dell’equilibrio sinallagmatico, osserva l’Organo Giudicante, il legislatore, in considerazione appunto dell’emergenza sanitaria, ha già contemplato meccanismi di compensazione, quali il credito di imposta, nella misura del 60% del canone di locazione, e la possibilità per i soggetti gestori di impianti sportivi pubblici di sospendere i canoni di locazione e concessori (misure previste rispettivamente dagli artt. 65 e 95 del D.L. N. 18/2020 – c.d. Decreto Cura Italia), nonché l’automatica riduzione del canone di locazione relativo a palestre, piscine e impianti sportivi privati in misura pari al 50% dello stesso, in mancanza di diversi accordi (art. 216 DL 34/2020 – c.d. Decreto Rilancio).

In virtù di queste considerazioni, nonché sulla scorta di giurisprudenza di Cassazione che non ammette la possibilità di legittima riduzione (in forma totale o parziale) in via unilaterale del canone da parte del conduttore al di fuori dei casi in cui venga a mancare completamente la controprestazione da parte del locatore,  il Tribunale di Roma, considerata la elevata morosità del conduttore e in mancanza di opposizione fondata su prova scritta, ha disposto il rilascio dell’immobile ex-art.665 c.p.c. disponendo poi il mutamento del rito per il prosieguo del contenzioso.

Avv. Rosalia Del Vecchio

Delegazione UPPI Castelmaggiore