Coronavirus:lettera aperta dell’u.p.p.i. al governo

Riduzione del canone? Non basta invocare l’emergenza sanitaria: la crisi economica va provata.

In materia di locazione commerciale, emergenza sanitaria, legittimità della domanda del conduttore alla riduzione del canone, valutazione da parte del giudicante dell’obbligo alla rinegoziazione da parte del proprietario, meritano di essere segnalate due sentenze di merito pronunciate dal Tribunale di Roma (sentenza n. 9457/2021 del 21.05.2021) e dal Tribunale di Palermo (sentenza n. 2435/2021 del 09.06.2021).

Entrambe le sentenze ribadiscono il principio per cui la sola deduzione, da parte del conduttore, dell’emergenza sanitaria non può valere a fondare la richiesta di riduzione del canone ma occorre fornire la prova delle difficoltà e dunque della contrazione economica subita in dipendenza della pandemia.

Nella sentenza del Tribunale di Roma il Giudice stigmatizza il comportamento della conduttrice affermando “nessuna documentazione contabile è stata prodotta così che non appare possibile verificare le apodittiche affermazioni delle ricorrenti su una presunta crisi delle proprie attività imprenditoriali”.

E così nella pronuncia del Tribunale siciliano il giudice così si è espresso: “non risulta provato che le misure restrittive volte al contenimento dell’emergenza Covid-19 abbiano inciso, rendendola più onerosa, sulla prestazione principale del conduttore che si sostanzia nel pagamento del canone di locazione” E dunque, mancando tale prova, “non può ritenersi inadempiente parte locatrice rispetto all’obbligo di rinegoziazione secondo buona fede, né vi sono elementi sufficienti per valutare se le proposte transattive che hanno riguardato le parti siano state improntate ai criteri di buona fede”. E ancora così si legge: la conduttrice non ha prodotto “alcun elemento per valutare concretamente l’incidenza effettiva e reale dell’emergenza pandemica sulla situazione contrattuale ed in particolare sullo svolgimento della propria attività di ristorazione[..] “non si sa nulla della sua attività di impresa, di come operasse prima della pandemia, di quale fosse la sua redditività, dei suoi orari di apertura, Nulla è stato prodotto per poter valutare la fondatezza della domanda di riduzione del canone o per poter in qualche modo istruire la stima dell’asserito svilimento della prestazione in un’ottica di valutazione dell’obbligo di rinegoziazione”.

In entrambe le sentenze si dà atto anche dell’esistenza di trattative che erano comunque intercorse tra le parti per una riduzione del prezzo della locazione che non avevano avuto un esito positivo.

A tal proposito si rileva dalle predette sentenze che obbligo di rinegoziare significa “impegnarsi a porre in essere tutti quegli atti che, in relazione alle circostanze, possono concretamente consentire alle parti di accordarsi sulle condizioni dell’adeguamento del contratto”; quindi, esso “impone di intavolare nuove trattative e di condurle correttamente, ma non anche di concludere il contratto modificativo”.

In considerazione di ciò, “la parte tenuta alla rinegoziazione è adempiente se, in presenza dei presupposti che richiedono la revisione del contratto, promuove una trattativa o raccoglie positivamente l’invito di rinegoziare rivoltole dalla controparte e se propone soluzioni riequilibrative che possano ritenersi eque e accettabili alla luce dell’economia del contratto; di sicuro non può esserle richiesto di acconsentire ad ogni pretesa della parte svantaggiata o di addivenire in ogni caso alla conclusione del contratto, che, è evidente, presuppone valutazioni personali di convenienza economica e giuridica che non possono essere sottratte né all’uno, né all’altro contraente”.

Diversamente laddove manchi da parte del locatore anche solo la volontà di instaurare delle trattative o laddove le stesse siano “di mera facciata, ma senza alcuna effettiva intenzione di rivedere i termini dell’accordo si potrà ritenere integrata la violazione dell’obbligo di rinegoziazione del contratto.

 

Avv. Rosalia Del Vecchio

Fonte Altalex