Riforma catasto e nuove rendite

Riforma Catasto e nuove rendite

La riforma del Catasto (prevista dalla Legge delega di riforma fiscale numero 23 dell’11 marzo 2014) sta compiendo i suoi primi, incerti, passi.
NUOVI VALORI E CATEGORIE. Dovranno essere definite le nuove categorie e i nuovi valori catastali; chiave di tutto è l’algoritmo che starà alla base dei calcoli, che si “materializzerà” attraverso il decreto sulla “funzione statistica” previsto nel corso del 2015 e che consentire l’avvio del lavoro delle commissioni preposte. Per ogni “microzona” e per ogni tipologia di immobile (abitazione, negozio, capannone) verrà infatti individuato il “valore medio di mercato” cui applicare i coefficienti che terranno conto, tra l’altro, di “ubicazione, epoca di costruzione e grado di finitura”.
RIORDINO PER IL CATASTO. Le attuali categorie catastali (45) verranno riordinate, prevedendone solo tre per il residenziale (fabbricati con più unità, unifamiliari e abitazioni tipiche dei luoghi), otto o nove per le categorie “ordinarie” (cantine, negozi, laboratori, magazzini e uffici) e infine circa 17-18 per le categorie speciali (le ex B, D ed E più alcune residuali come la ex A9 che oggi comprende gli immobili storici). La categoria F sarà ancora una categoria a parte (immobili improduttivi di reddito). Le attuali classi, invece (oggi sono migliaia, diversificate a seconda dei Comuni), scompariranno del tutto. Saranno elaborate più funzioni per la stima degli immobili: una nazionale e altre locali, in collaborazione con i Comuni.
Le conseguenze che deriveranno dalla revisione in aumento dei valori, relativamente alle imposte, dirette e indirette, avranno effetti non indifferenti. La questione era ovviamente presente al legislatore, che ha provveduto con una delega specifica, prevedendo in generale l’invarianza di gettito. Questo concetto di “invarianza di gettito” purtroppo, a parere di chi scrive, non troverà applicazione alcuna sotto l’ aspetto pratico col rischio di valori finali fuori controllo.
La riforma catastale, modificando in modo radicale i criteri di determinazione dei valori catastali imponibili, porta i valori fiscali più vicini a quelli reali. Si rischia così di innescare un processo di lievitazione dell’imposizione tributaria sugli immobili, tale da dare il colpo di grazia al settore, già così fortemente colpito dalla recente frenesia degli introiti facili e immediati innescati dall’improvvido Mario Monti.
L’invarianza complessiva del gettito prevista dalla legge delega fiscale non è, infatti, invarianza del prelievo a carico del contribuente, né invarianza di una specifica imposta, ma una dichiarazione di principio su una semplice invarianza teorica di gettito totale per lo Stato, come parrebbe di poter intendere. Non è stabilito nemmeno il principio dell’invarianza del gettito a livello locale, in quanto manca una specifica norma in tal senso. Si tratta quindi di una invarianza complessiva, calcolata non si sa come né da chi, e nemmeno è indicato chi dovrà valutarla.
Vediamo cosa dice la norma. L’articolo 2 della legge delega al comma 3, lettera B attribuisce al governo la delega a emanare, tramite decreto legislativo, norme dirette a: «Garantire l’invarianza del gettito delle singole imposte il cui presupposto e la cui base imponibile sono influenzati dalle stime di valori patrimoniali e rendite, a tal fine prevedendo, contestualmente all’efficacia impositiva dai nuovi valori, la modifica delle relative aliquote impositive, delle eventuali deduzioni, detrazioni o franchigie, finalizzate a evitare un aggravio del carico fiscale, con particolare riferimento alle imposte sui trasferimenti e all’imposta municipale propria (Imu), prevedendo anche la tutela dell’unico immobile non di lusso e tenendo conto, nel caso delle detrazioni relative all’Imu, delle condizioni socio-economiche e dell’ampiezza e della composizione del nucleo familiare, come rappresentate nell’indicatore della situazione economica equivalente (Isee), anche alla luce dell’evoluzione cui sarà soggetto il sistema tributario locale fino alla piena attuazione della revisione prevista dal presente articolo». Nella successiva lettera M è previsto un meccanismo di monitoraggio, con relazioni dapprima semestrali, con possibilità di intervenire anche con correttivi. E si tenga anche conto che l’ articolo 16 della legge delega prevede, in generale, il dichiarato obiettivo di riduzione dell’imposizione fiscale!
Cosa dobbiamo attenderci? Niente di positivo, a riforma completata, ma nemmeno nel frattempo, purtroppo. Il presidente della commissione Finanze del Senato, Mauro Marino, ha così letteralmente affermato: «Non bisogna aspettare che il percorso di cinque anni per il nuovo Catasto sia portato a termine: le sperequazioni maggiori possono essere ridotte drasticamente con un algoritmo che valga per il periodo transitorio e che entrerà in vigore a breve». Ma cosa vorrà dire? Molto semplice: che a breve avremo un algoritmo anticipatore della riforma. Ma cosa sarà mai? Un qualcosa di automatico? Parrebbe di sì, o meglio uno strumento che, partendo dalla base vecchia, arrivi a una nuova valorizzazione degli immobili e conseguentemente delle basi imponibili. È ovvio che temiamo il peggio. Con gli algoritmi si possono fare molte cose, e non necessariamente positive.
Ma vediamo la questione gettito. I nuovi e sicuri maggiori valori degli immobili, comporteranno anche l’aumento del gettito fiscale, a parità di aliquote attuali. Si tratta di un semplice calcolo aritmetico il cui effetto è del tutto pacifico, salvo appunto la clausola dell’invarianza, della parità di gettito. Il fatto che oggi la base imponibile sia più bassa del valore reale degli immobili, il che è notorio, non significa che il gettito delle imposte sia inferiore a quanto l’amministrazione finanziaria desidera. Il legislatore, infatti, ha modulato nel tempo le aliquote in modo tale da ottenere il gettito voluto, gettito che tiene conto dei valori ridotti. I valori bassi non comportano quindi alcun danno per l’Erario.
Piuttosto, nel sistema catastale attuale possono, invero, presentarsi situazioni di squilibrio di valori, a seconda delle epoche dell’accatastamento, delle revisioni intervenute, del diverso funzionamento degli uffici erariali e dei Comuni. Ma per ovviare a queste sperequazioni non c’è – e non c’era – alcun bisogno di cambiare i criteri di determinazione dei valori imponibili. Ora si prevede una revisione in aumento di tutti i valori degli immobili. Ove le aliquote, sia per le imposte dirette sia per quelle indirette, non dovessero subire la stessa riduzione inversamente proporzionale all’aumento di valore degli immobili, ne conseguirebbe una situazione del tutto insostenibile, da parte dei contribuenti, per via dei conseguenti aumenti dell’imposizione.
Il meccanismo della dichiarata invarianza di gettito è destinato a incepparsi, e a non essere neutro per i contribuenti. L’aumento di valore degli immobili sarà molto diversificato, sul territorio, sia per area, sia per zona e microzona, sia per tipologia di immobili. Avranno maggior peso le tipologie dell’area (città o periferia), le zone (più o meno degradate), gli interventi di recupero e l’età degli immobili. Le aliquote, delle imposte dirette e indirette, invece, si presume saranno uniformi, come oggi, su tutto il territorio nazionale, più basse, appunto, ma uniformi.
Come si farà, dunque, a garantire l’equivalenza, rispetto a oggi? Per il futuro, avremo aliquote per ogni Comune, o meglio aliquote per ogni immobile? Oppure una sola aliquota media, che possa tenere conto di tutte le variazioni? E questo sia per le imposte dirette sia per le imposte indirette. E per le imposte dirette, come si procederà? Forse con un abbattimento specifico? Chiaramente non potrà essere così! Quindi si pagherà di più? E qualcuno riuscirà a pagare di meno? C’è qualcosa di schizofrenico, in tutto ciò.
L’unica spiegazione individuabile è solo una, ed è scoraggiante. Si vuole aumentare ancora una volta il gettito sugli immobili facendo finta di nulla, o meglio facendo finta di razionalizzare la materia. Si comincia con una rassicurazione, non richiesta: la riforma fiscale ha l’obiettivo di ridurre le imposte; si dà poi la bonaria rassicurazione che il gettito totale sugli immobili non aumenterà, e si abbandonano i contribuenti al loro triste segnato destino. Se poi i proprietari dovessero protestare, si vedrà, piano piano, cosa fare. La politica dei piccoli passi, appunto. Che fallimento!
Pare difficile, per non dire assolutamente impraticabile, l’applicazione pratica della clausola di salvaguardia. Evidentemente non è bastato il disastro della Tasi, con migliaia di delibere e di regolamenti, in un guazzabuglio sempre più inestricabile! Già i grossi pasticci causati da Monti hanno portato al collasso il mercato immobiliare. Per raccogliere con immediatezza qualche risorsa in più, si è di fatto applicato una patrimoniale monstre sul patrimonio immobiliare.
Conveniva non fare nulla!

CLAUDIO CONTINI – Segretario Generale UPPI BOLOGNA
Presidente Commissione Fiscale Nazionale