Come impugnare le delibere condominiali

Come impugnare le delibere condominiali

Nullità ed annullabilità delle deliberazioni assembleari del condominio

L’art. 1137 cod. civ. al secondo comma stabilisce espressamente che, contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all’autorità giudiziaria; al terzo comma la norma precisa che il “ricorso” deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data di deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti. Il ricorso non sospende l’esecuzione.
La Suprema Corte ha insegnato che per deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio si intendono le delibere assunte dall’assemblea senza l’osservanza delle forme prescritte dall’art. 1136 cod. civ. per la convocazione la discussione e la votazione nei limiti delle attribuzioni specificate dagli artt. 1120, 1121, 1129, 1132, 1135 cod. civ., più precisamente le deliberazioni con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, o assunte in violazione di prescrizioni legali, convenzionali o regolamentari attinenti appunto al procedimento di convocazione od informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione e quelle che violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all’oggetto: queste deliberazioni inducono solo “annullabilità”; pertanto se non sono impugnate avanti l’autorità giudiziaria dai condomini dissenzienti od assenti entro il succitato termine di trenta giorni esse sono comunque valide ed efficaci per tutti i condomini.
Sono invece affette da “nullità” le deliberazioni dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le deliberazioni con oggetto impossibile o illecito contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume, le deliberazioni con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o sui servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini e le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto. Le deliberazioni nulle possono essere impugnate da chiunque ne abbia interesse avanti l’autorità giudiziaria in ogni tempo, e quindi anche oltre il termine di decadenza previsto dal citato art. 1137 cod. civ. il quale ha un’ampia portata e rilevanza proprio in riferimento alle deliberazioni annullabili.
Ed è proprio la decadenza in cui si può incorrere nella impugnazione di una deliberazione condominiale, con le notevoli conseguenze che ne possono derivare, ed il nuovo, immotivato, cambio di indirizzo dei giudici di legittimità sulla forma dell’impugnazione che impongono la presente trattazione e le considerazioni che seguono.
Come va fatta (rectius proposta) l’impugnazione?
Originariamente la dottrina propendeva per una impugnazione proposta a mezzo atto di citazione nelle comuni forme del processo contenzioso, e non con ricorso (Visco, Le case in condominio, 1976), pur ritenendo tuttavia valido e procedibile anche il ricorso diretto all’autorità giudiziaria come forma dell’impugnazione. Riteneva la giurisprudenza che la citazione per l’impugnazione di una deliberazione da parte del condomino doveva essere notificata all’amministratore del condominio entro il predetto termine per evitare la decadenza.
Con sentenza n. 1716 del 9 Marzo 1975 la sezione II civile della Corte di Cassazione Presidente Ferrati, estensore Lazzaro, precisava che sebbene la parola “ricorso” non possa essere intesa se non nel suo significato tecnico e non già nella generica possibilità di rivolgersi al giudice… malgrado la forma imposta per l’inizio del rapporto processuale occorre che si instauri fra le parti il pieno contraddittorio (trattandosi, conferma il giudice di legittimità, di ricorso contenzioso e non di procedimento speciale in camera di consiglio).
Consegue (continua la sentenza) che, ai fini della costituzione del rapporto processuale, non ha alcuna rilevanza il momento del deposito del ricorso in cancelleria del giudice adito, ma essa è determinata dalla notificazione all’altra parte dell’atto con cui la domanda è formulata.
Questa semplicistica tesi tuttavia non convinceva, apparendo tra l’altro alquanto generica e superficiale nella motivazione, alla luce della precisa formulazione dell’art. 1137 cod. civ., posto che la soluzione della problematica della decadenza veniva risolta in riferimento alla costituzione del rapporto processuale che si verifica solo alla data della notificazione dell’atto introduttivo, ed era a tale data, pertanto, che occorreva fare riferimento per il calcolo del termine di decadenza, e non alla data del deposito dell’eventuale ricorso. Tanto valeva quindi notificare direttamente un atto di citazione, nel termine di decadenza, all’amministratore del condominio se il deposito del ricorso non interrompeva il termine di decadenza.
La questione tornò, gioco forza, al vaglio del giudice di legittimità.
La medesima sezione II civile, Presidente Carotenuto, estensore Vella, ed un collegio del tutto diverso da quello della succitata decisione n. 1716/75, specificatamente interessata delle questioni relative alla forma dell’atto per l’impugnazione di una deliberazione di assemblea condominiale, e alla determinazione della decorrenza del termine di decadenza, le risolse con l’arresto n. 2081 del 27/2/1988 riesaminando scrupolosamente ed integralmente la fattispecie.
Dopo avere riaffermato che il procedimento instaurato con l’impugnazione prevista dal citato art. 1137 cod. civ. è di natura contenziosa, essendo diretto ad ottenere una sentenza che accerti se la deliberazione dell’assemblea abbia o non leso il diritto soggettivo del condomino impugnante, specificò inequivocabilmente quale doveva essere la forma dell’impugnazione ed insegnò: “..va ribadito che l’impugnativa si propone con ricorso, perché questa parola è stata certamente adoperata non nel generico senso di possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria, ma nel suo pacifico significato tecnico giuridico, se si considera che nell’at. 1137 cod. civ. per ben “tre volte”, e per esprimere concetti diversi, è ripetuta la parola “ricorso”…
E che l’impugnazione debba proporsi con ricorso, come risulta dalla lettera dell’art. 1137 cod. civ. è indirettamente confermato dalla diversa formulazione di tale disposizione a quella delle altre norme del codice che in ipotesi analoghe sia in materia di consorzi e società (artt. 2377, 2606 cod. civ.)… sia in tema di comunione generale (artt. 1107, 1109 cod. civ.)… non richiedono espressamente il rimedio del ricorso come mezzo di impugnazione degli organi collegiali”.
Proseguendo nella motivazione lo stesso giudice di legittimità ritenne di non condividere assolutamente il principio di diritto espresso precedentemente secondo il quale… al fine del rispetto del termine di decadenza di trenta giorni… si deve considerare non la data del deposito del ricorso nella cancelleria del giudice adito, ma quella della notificazione all’altra parte del ricorso stesso… e nuovamente precisò: “tale principio non può essere condiviso, in quanto il riesame della questione induce a concludere che per l’osservanza del termine prescritto per la impugnazione debba farsi riferimento alla data del deposito del ricorso nella cancelleria del giudice”.
La Corte non si limitò ad una affermazione fine a se stessa, ma provvide correttamente a fornire le motivazioni che l’avevano indotta ad affermare il principio di diritto.
Innanzitutto – spiegò il giudice di legittimità – depone in tal senso la corretta interpretazione che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ripetutamente dato delle norme che nelle materie più varie prevedono l’instaurazione del giudizio contenzioso con la forma del ricorso.
E facendo riferimento alle azioni di opposizione agli atti esecutivi, alle azioni possessorie e di appello nella cause di lavoro affermava che si è ritenuto e si ritiene che i termini fissati a pena di decadenza per l’esperimento delle relative azioni ed impugnazioni siano rispettati con il deposito del ricorso nella cancelleria dell’autorità giudiziaria, senza che sia necessario procedere anche alla notificazione di esso alla controparte entro il medesimo termine.
L’art. 1137 cod. civ. non richiede infatti assolutamente quest’ultimo incombente ai fini della interruzione del termine di decadenza. E la sentenza ancora una volta non si limitò ad una semplice affermazione, e proseguendo specificò…
Inoltre se si aderisse al precedente orientamento di questa Corte, l’inammissibilità del ricorso prescinderebbe dalla sua proposizione nel termine stabilito a pena di decadenza, e dipenderebbe dalla tempestiva emanazione del provvedimento giudiziale di fissazione dell’udienza di comparizione e di assegnazione del termine per la notificazione del ricorso e del relativo decreto alla controparte, giacché nel caso di ritardata pronuncia del provvedimento sarebbe molto difficile se non addirittura impossibile per il ricorrente eseguire la notifica nel termine di trenta giorni, e nell’ipotesi poi di deposito del ricorso in cancelleria nell’ultimo giorno previsto dalla legge, l’inammissibilità del ricorso costituirebbe la regola… La Corte, dimostrando poi di essere anche pienamente addentro le problematiche condominiali, fece presente… Né sarebbe esatto sostenere che con la soluzione accolta l’amministratore non potrebbe tempestivamente eseguire la deliberazione dell’assemblea venendo a conoscenza del ricorso solo con la notificazione di esso a volte molto distanziata nel tempo rispetto al deposito dello stesso in cancelleria, in quanto, come è noto, l’amministratore è obbligato ad eseguire la deliberazione anche se impugnata non sospendendone il ricorso l’esecuzione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria.
Concluse con l’affermazione del principio di diritto: Il termine di decadenza previsto dall’art. 1137 cod. civ. per l’impugnazione delle assemblee dei condominii di edifici decorre dalla data del deposito del ricorso nella cancelleria del giudice adito e “non” da quella della successiva notificazione al condominio del ricorso stesso e del decreto con cui viene fissata l’udienza di comparizione delle parti.
Questa sentenza dettò un preciso insegnamento processuale e, data la portata della decisione, ad essa si adeguarono immediatamente sia i giudici di merito, sia la dottrina: le impugnazioni delle deliberazioni assembleari furono da allora proposte, pertanto, mediante ricorso depositato entro i termini di decadenza dell’art. 1137 cod. civ.; e a maggior ragione dopo l’anno 2000 quando furono dettati anche, dalla stessa Corte, una volta per tutte, i succitati principi dell’annullabilità e della nullità delle delibere condominiali.
Con sentenza n. 62057/1997 la Suprema Corte, stessa sezione II, ribadì ancora il concetto che le impugnazioni delle deliberazioni condominiali andavano proposte, senza dubbio, con ricorso specificando che …il legislatore, quando ha usato la parola “ricorso” non ha inteso soltanto concedere azione al condomino dissenziente, ma ha anche stabilito il modo dell’impugnazione, in considerazione dell’esigenza della sollecita soluzione delle questioni che possono intralciare o paralizzare la gestione del condominio.
Ai fini della tempestività del ricorso si faceva ovviamente riferimento al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice adito; difatti la giurisprudenza di merito ampliò il concetto espresso dal giudice di legittimità rilevando che proprio perché la forma tecnica per l’impugnazione delle delibere condominiali era il ricorso, ove l’azione fosse stata proposta con atto di citazione ordinario, la stessa si intendeva proposta tempestivamente solo con il deposito dell’atto nella cancelleria del giudice adito (quindi al momento dell’iscrizione a ruolo).
In ogni caso pertanto, in qualunque forma fosse stato redatto l’atto introduttivo, la proposizione dell’azione, ai fini della decadenza, doveva calcolarsi con riguardo al deposito dell’atto stesso e non alla data dell’avvenuta notifica all’amministratore del condominio.
Improvvisamente, dopo sedici anni di giurisprudenza incontroversa e consolidata, e senza che ve ne fosse motivo alcuno, posto che le divergenze erano state superate nel senso che era pacificamente rilevante solo la data del deposito del ricorso (o dell’atto di citazione) ai fini della interruzione della decadenza, sempre la seconda sezione della Corte di Cassazione, ma un nuovo collegio, Presidente Calfapietra, estensore Malpica, mutò improvvisamente orientamento, e con sentenza n. 14560 del 30/7/2004 pur ribadendo che in linea di principio il termine “ricorso” usato nell’art. 1137 cod. civ. non poteva che essere inteso in senso tecnico, anche in relazione alla finalità di salvaguardare l’esigenza di risolvere sollecitamente le questioni concernenti la gestione del condominio e che quindi, l’impugnativa delle delibere assembleari è vincolata al rito previsto per i procedimenti introdotti con ricorso (deposito in cancelleria dell’atto introduttivo e notificazione di esso e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di comparizione)… ritenne per contro che dovendosi fare applicazione del principio generale di conservazione degli atti in virtù dell’equipollenza e del conseguimento dello scopo, peccava di eccessivo formalismo la tesi secondo la quale la tempestività dell’azione introdotta con l’atto tipico (atto di citazione) andava esaminata con riferimento alla situazione processuale presa in considerazione per l’atto tipico che per l’atto di citazione avviene con l’iscrizione a ruolo.
Quindi senza considerare in alcun modo quanto insegnato dalla sentenza n. 2081/88, ma senza nemmeno criticarla con argomentazioni che processualmente potessero in qualche modo inficiare o contrastare i principi di diritto espressi – tale non è certo la semplice considerazione che “peccava di eccessivo formalismo” – e dopo avere anche sostenuto che… quando l’atto introduttivo è il ricorso… è inevitabile fare riferimento al momento del deposito ai fini della tempestività dell’azione…, assumeva… la notifica a parte convenuta dell’atto introduttivo del giudizio, quand’anche effettuato sotto forma di citazione ad udienza fissa, esaurisce gli adempimenti di immediato interesse per la stessa, a prescindere dalla iscrizione a ruolo, sicché non avrebbe senso ai fini della tempestività avere riguardo anche a detto ultimo adempimento.
Non forniva alcuna illuminante motivazione se non che “non avrebbe senso (?)” Ma ciò che è più sconcertante è la conseguenza processuale che viene introdotta, in contraddizione con quanto precedentemente affermato, ed in verità ancora senza alcuna giuridica giustificazione, e la conseguenza era…
La prevalenza della notificazione dell’atto rispetto al mero deposito opera, ovviamente, anche nella opposta ipotesi di giudizio introdotto con ricorso anziché con citazione ad udienza fissa, sicché in tal caso, per la tempestività dell’azione, non potrebbe aversi riguardo che al momento della notifica del ricorso con pedissequo decreto, non essendo sufficiente il deposito dell’atto.
Lo stravolgimento di tutto quanto insegnato precedentemente dallo stesso giudice di legittimità e dalla costante giurisprudenza di merito , così come dalla dottrina era evidente; ma il nuovo orientamento ha trovato conferma nella successiva sentenza n. 8440/2006 dello stesso giudice là dove, cassando una sentenza della Corte di Appello di Brescia (che aveva ritenuto appunto, secondo la costante pregressa giurisprudenza, che per la valutazione della tempestività della impugnazione di deliberazioni condominiali, pur quando è proposta con citazione, “rilevava la data del deposito in cancelleria dell’atto” e non quella “della notificazione alla controparte”), affermò prima che… l’azione poteva essere esercitata indifferentemente con ricorso o con citazione, ma che in questa ultima ipotesi ai fini della tempestività occorreva tenere conto della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio anziché di quella del successivo deposito in cancelleria che avviene al momento dell’iscrizione a ruolo…, e successivamente, in aperta contraddizione con quanto insegnato in altre materie, senza darne ancora alcuna giustificazione processuale, assunse che..una volta che è riconosciuto che anche la citazione è utilizzabile, si dà luogo a una incongrua contaminazione normativa se la si ritiene contemporaneamente soggetta pure alla disciplina propria di un diverso tipo di atto come il ricorso (come se il dare luogo ad una “imprecisata” incongrua contaminazione normativa(??)” fosse definire un principio di diritto).
Non si discostava, purtroppo, da questa tesi la successiva sentenza n. 17701/2006 della medesima II sezione civile della Suprema Corte che ulteriormente precisava che… al fine della tempestività delle impugnazioni… al deposito del ricorso nel termine di cui all’art. 1137 cod. civ. era da ritenersi equipollente, in virtù del principio della conservazione degli atti quando conseguono lo scopo cui sono destinati, la notificazione della citazione introduttiva nel medesimo termine, anche se l’iscrizione della causa è avvenuta successivamente… , e che nessuna lesione del diritto di difesa sussisteva in virtù della introduzione del giudizio con citazione anziché con ricorso.
La questione di diritto, assolutamente non convincente, fu portata nuovamente al vaglio della Suprema Corte a seguito di altra decisione, questa volta della Corte di Appello di Torino che aveva confermato la costante giurisprudenza di merito secondo cui l’impugnazione delle delibere condominiali poteva essere proposta anche con citazione purché il deposito dell’atto (cioè l’iscrizione a ruolo) avvenisse nel termine di cui all’art. 1137 cod. civ.: la medesima sezione II, pur Presidente Corona, relatore Mazzacane, altro non ha fatto che ribadire, parafrasandola tra l’altro con gli stessi termini, la sentenza succitata con la recentissima decisione n. 14007 del 28/5/2008, decisione da cui è scaturita la necessità, come si è detto sopra, della presente trattazione posto che lo stabilire quale è il momento in cui si perfezionano gli effetti sostanziali e processuali dell’impugnazione proposta con ricorso è di essenziale importanza, avendo il legislatore disposto il breve termine di decadenza di 30 giorni di cui si è detto per la corretta proposizione della impugnazione.
Gli argomenti addotti dai nuovi giudici della seconda sezione della Corte di Cassazione a sostegno delle altrettanto nuove tesi in materia di impugnazione delle deliberazioni condominiali, in riferimento alla forma dell’impugnazione e all’interruzione del termine di decadenza, non solo non persuadono ma contraddicono palesemente considerazioni contrarie, sicuramente di maggior peso, che si rinvengono nel sistema, ed introducono principi che senza dubbio non rispecchiano quanto voluto dal legislatore con i disposti dell’art. 1137 cod. civ..
Purtroppo è da tempo che l’autorità giudiziaria anziché applicare la legge, si spinge, anche là dove non è assolutamente necessario, di fatto a legiferare.
Nel caso in esame non si sono accorti i giudici di legittimità di avere introdotto, con le decisioni qui oggetto di questa trattazione, non solo un’altra forma di impugnazione delle deliberazioni condominiali, assolutamente non prevista dal legislatore, ma un diverso termine di decadenza a seconda della forma scelta – che così come espresso appare evidentemente solo a piacimento dall’impugnante – senza darne adeguata motivazione, o peggio ancora considerando la prevalenza della notificazione alla controparte, ai fini del termine di decadenza dell’impugnazione, anche laddove questa sia stata proposta con ricorso (vedi citata Cass. 14560/04).
Il ché significa che la maggior parte delle impugnazioni proposte con ricorso possono incorrere nella decadenza poiché difficilmente si potrebbe riuscire a notificare il ricorso ed il pedissequo decreto di fissazione di udienza anche a causa dei tempi morti di giacenza degli atti negli uffici giudiziari e della a volte scarsa rapidità, per svariati motivi, con cui viene emesso il provvedimento di fissazione dell’udienza di comparizione.
Secondo la precedente consolidata e motivata giurisprudenza di merito e della stessa Suprema Corte, l’impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea dei condomini doveva essere proposta con ricorso, come espressamente e specificatamente disposto dall’art. 1137 cod. civ. in cui detto termine – ricorso -, ripetuto per ben tre volte, non può ritenersi usato in senso improprio, come mera istanza giudiziale, invece che in senso tecnico.: lo hanno riconosciuto apertamente, sempre, anche i giudici di legittimità che si sono succeduti nelle decisioni in punto.
Peraltro a tale conclusione si perviene mediante un semplice esame della norma che, appare d’uopo ripeterlo, dopo avere disposto che ogni condomino dissenziente può fare “ricorso” alla autorità giudiziaria, stabilisce che il “ricorso” non sospende l’esecuzione della deliberazione, e prescrive che il “ricorso” deve essere proposto, a pena di decadenza entro trenta giorni.
Proporre significa “presentare”, e presentare ai fini processuali vuol dire depositare un atto nella cancelleria del giudice adito.
L’uso dell’articolo “il” per indicare l’atto con cui la parte deve esercitare il suo diritto d’impugnazione, manifesta all’evidenza che la parola “ricorso” non indica, come è stato correttamente rilevato dagli stessi giudici di legittimità, la generica possibilità di rivolgersi al giudice, ma vale ad indicare proprio la forma della domanda; e la prescrizione della forma del ricorso, e non dell’atto di citazione ordinario, con tutti gli effetti che ne conseguono, trova fondamento nell’esigenza, in materia condominiale, così come ad esempio in materia di lavoro, famiglia, opposizione all’esecuzione, di una sollecita soluzione delle questioni che possono intralciare o paralizzare la gestione di quella fattispecie che, per sua natura, deve essere rapida.
Non è possibile non tenere conto, infatti, che la medesima terminologia dell’art. 1137 la si ritrova, ad esempio, nell’art. 414 c.p.c. che prevede anch’esso espressamente, che l’azione si propone con “ricorso”, o nell’art. 433 c.p.c. che prevede altrettanto espressamente l’appello… deve essere proposto con “ricorso”: a chi mai verrebbe in mente di sostenere che l’azione in materia di lavoro può essere proposta con un equipollente atto di citazione e che la decadenza decorre dalla data di notificazione della domanda o dell’appello?
E quale differenza tra queste specifiche dizioni del legislatore ci sarebbe con… ogni condomino può fare “ricorso”… il “ricorso deve essere proposto… il “ricorso” non sospende…??
Sancito pertanto che, sia per il chiaro significato della parola usata dal legislatore, e più volte ripetuta, sia per la evidente ratio della norma, per l’impugnazione delle deliberazioni condominiali è prescritta dal legislatore la forma del ricorso, deve ritenersi, in applicazione di una regola ricavabile dal sistema del codice di procedura, in quanto espressamente sancita con riguardo a tutti i procedimenti per i quali l’atto introduttivo è previsto nella forma del ricorso, che anche per le impugnazioni in esame l’editio actionis rilevante per valutare la tempestività dell’azione, ove sia soggetta a termini di decadenza, coincide con il momento del deposito del ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria, restando irrilevante a tal fine il diverso momento in cui sia stato notificato l’atto alla controparte sia esso precedente o posteriore al deposito dell’atto medesimo.
In questi esatti termini Corte dei Appello di Torino n. 258/2001. Paiono avere dimenticato i giudici di legittimità che se è vero che, nei casi in cui è prescritta la forma del ricorso, l’azione può ritenersi validamente proposta anche con un atto di citazione ordinario, la stessa tuttavia si intende proposta solo al momento del deposito dell’atto (di citazione) nella cancelleria del giudice adito (in tal senso la stessa Suprema Corte n. 2260/90; 2687/94 tra le tante). Se infatti la forma prevista dal legislatore per l’azione di impugnazione è appunto il ricorso, a prescindere dalla equipollenza dell’atto di citazione, non vi può essere comunque dubbio che questa forma di impugnazione sia “irrituale”.
Ed è istituzionale che nel caso in cui sia stato utilizzato uno strumento processuale non idoneo e l’azione sia stata proposta irritualmente con atto di citazione anziché con ricorso, il vizio può essere sanato purché l’atto di citazione venga depositato nel termine di legge per proporre l’impugnazione.
È quindi rilevante, a differenza di quanto reputato dai giudici di legittimità nelle predette sentenze qui oggetto di discussione, il solo deposito dell’atto in cancelleria e non la notifica alla controparte.
Né si può, ai fini della risoluzione della questione, non tenere conto di quanto affermato dagli stessi giudici di legittimità in materie analoghe ove la forma dell’azione giudiziale è prevista dal legislatore proprio con la forma del ricorso.
Non si sono evidentemente poste le decisioni de quibus – appare necessario rievidenziarlo – che la scelta del legislatore del ricorso come forma di impugnazione e quale atto introduttivo del giudizio, è stata dettata al solo fine di un migliore governo e gestione dei tempi e dell’oggetto del processo contenzioso in materia di condominio, così come in materia di lavoro, famiglia, opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, governo che necessita di tempi più rapidi ed il più possibile non dilatori per la particolare tipologia delle questioni trattate.
Ne deriva che ove la proposizione dell’azione, prevista specificatamente dal legislatore con ricorso, sia sottoposta ad un temine di decadenza, come nel caso di impugnazione delle deliberazioni condominiali, detto termine deve essere calcolato con riguardo alla data di deposito dell’atto introduttivo, in qualunque forma esso sia stato redatto (anche pertanto in forma equipollente al ricorso) essendo, invece irrilevante a tal fine la data della avvenuta notifica dell’atto stesso (seppure precedente a quella del deposito in cancelleria) che rimane estranea alla generale disciplina dell’instauramento dei procedimenti contenziosi con la forma del ricorso, nonché alla ratio e funzione dell’impugnativa in questione.
La contaminazione normativa alla quale fanno riferimento le sentenze qui criticate appare sussistere, per contro, nel nuovo assolutamente non convincente indirizzo; non hanno evidentemente valutato i giudici di legittimità che l’agevolare la forma della citazione, considerando ai fini della decadenza la data della notificazione dell’atto, vanifica del tutto quanto si era prefisso il legislatore prevedendo quale forma di impugnazione il ricorso.
Un atto di citazione può volutamente, dopo la sua notificazione, non dare ingresso ad un processo poiché la causa iniziata con la citazione può non essere iscritta a ruolo.
Ma se si tiene conto del nuovo pensiero giurisprudenziale una volta notificato l’atto di citazione nei termini di cui all’art. 1137 cod. civ. non si verificherebbe comunque alcuna decadenza, con la conseguenza che la causa potrebbe essere riassunta in qualunque momento nel termine annuale (oltre la sospensione dei termine) disposto dalla legge processuale per la riassunzione a seconda degli interessi esclusivi dell’attore, il quale non potrebbe considerarsi decaduto dall’impugnazione avendo notificato la citazione nel termine.
Corollario è che il condominio si vedrebbe esposto per oltre un anno all’incognita di un processo il cui impulso sarebbe solo nella disponibilità del condomino impugnante, e secondo quello che sono i suoi interessi.
Si può immaginare la problematica che ne deriverebbe pur potendo il condominio eseguire una delibera comunque esecutiva con il rischio di vedersela eventualmente annullare a distanza di tempo con effetti che potrebbero essere devastanti e/o irreversibili laddove si trattasse, ad esempio, di delibere per l’esecuzione di lavori. Non è sicuramente quanto voleva il legislatore e quanto serve al condominio: certezze a più che breve termine !! La forma del ricorso, come sicuramente ha voluto il legislatore, e comunque la decorrenza del termine per la decadenza al momento del deposito dell’atto in cancelleria (qualunque sia la forma dell’atto) non espone ad alcuno di questi rischi e pericoli.
È evidente che si impone da parte della Suprema Corte di Cassazione una rivisitazione completa della materia dal punto di vista processuale, ed un univoco insegnamento, al fine di dare compiuta e motivata chiarezza al caos procedurale cui essa stessa sta dando luogo, tenendo anche in maggiore considerazione le proprie precedenti decisioni, laddove esse hanno compiutamente risolto questioni di diritto, la costante giurisprudenza di merito, la dottrina e, non ultimo, le problematiche cui devono fare fronte gli operatori del diritto e della specifica materia, diuturnamente, per garantire la tutela dei condomini e delle deliberazioni condominiali, e per garantire una corretta e costante applicazione della legge come è compito istituzionale della magistratura che non può essere soggetta a singole interpretazioni a seconda di chi in quel momento è preposto alla decisione.

Avv. Gabriele Bruyère
Presidente Nazionale Vicario UPPI