Il diritto di veduta

IL DIRITTO DI VEDUTA

L’art. 907 c.c. è posto a tutela del diritto di veduta acquisito da parte di un proprietario rispetto ad un fondo finitimo, prevedendo una distanza di rispetto non inferiore a tre metri nei confronti del vicino intenzionato ad edificare un proprio fabbricato.
Numerose sono le pronunce giurisprudenziali che, affrontando diversi casi di non pronta soluzione, ne hanno tracciato gli specifici connotati.
In tale sede risulta interessante approfondire alcuni temi particolari come la “Nozione di Fabbricato”, “L’applicazione dell’art. 907 c.c. per costruzioni su suolo pubblico”, “Il rispetto delle distanze in senso verticale ed il diritto di veduta in appiombo”.
Nozione di fabbricato
La Giurisprudenza della Suprema corte risulta pacifica nell’affermare che, ai fini dell’art. 907 c.c., il quale fa divieto di fabbricare a distanza minore di 3 metri dalla veduta del vicino, il concetto di fabbricare non riguarda esclusivamente i fabbricati in calce o mattoni e cemento, cioè le opere che abbiano le caratteristiche di un edificio o di una fabbrica in muratura, ma comprende ogni opera avente il carattere della stabilità ed una certa consistenza, indipendentemente dalla natura del materiale con cui è stata realizzata, dalla forma e dalla destinazione di essa, sempre che l’opera diversa dal fabbricato in senso proprio e tecnico ostacoli l’esercizio della veduta del proprietario del fondo vicino (Cassazione Civile, II Sez., 09/02/1993, n, 1598).
E ancora: “Costituisce costruzione anche un manufatto privo di pareti ma realizzante una determinata volumetria, e pertanto la misura delle distanze legali per verificare se il relativo obbligo è stato rispettato deve esser effettuata assumendo come punto di riferimento la linea esterna della parete ideale posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate del manufatto stesso” (Cassaz. n. 16776/2012).
Pertanto, ai fini della verifica del mancato rispetto delle distanze legali, l’elemento determinante è l’esistenza dell’opera nei suoi elementi strutturali e la sua durevole destinazione, così come insegna il consolidato orientamento del Consiglio di Stato, il quale ha più volte ribadito come la precarietà dell’opera vada esclusa ogni qual volta si tratti di una costruzione “destinata a utilità prolungata” (Consiglio di Stato, Sent. N. 1354/2008).
Pare, poi, opportuno evidenziare come la Corte di Cassazione sia arrivata addirittura a ritenere ininfluente anche il carattere di precarietà dell’opera, affermando come in tema di violazione delle norme sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, ai sensi dell’art. 907 c.c., per costruzione debba intendersi l’opera destinata per la sua funzione a permanere nel tempo, e, tuttavia, il carattere di precarietà della medesima non esclude la sua idoneità a costituire turbativa del possesso della veduta come in precedenza esercitata dal titolare del diritto (Cassaz. n. 21501/2007).
Costruzioni su suolo pubblico
L’art. 907 c.c. disciplina il rispetto della distanza fra costruzioni di fondi che dovrebbero presupporsi privati (“…diritto di avere vedute dirette sul fondo del vicino…”).
Anche in tal caso la Giurisprudenza di settore ha esteso l’applicabilità di tale normativa anche a fattispecie ove il mancato rispetto delle distanze veniva leso tramite costruzioni edificate su suolo pubblico, precisando in quali casi viene meno l’esonero del rispetto delle distanze previsto dall’art. 879 c.c. (“Alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano”).
La Giurisprudenza di Legittimità ha, di fatti, chiarito come: “Il divieto di costruire a distanza inferiore a tre metri dalle vedute del vicino sussiste, se la costruzione appoggia sul muro su cui si apre la veduta, ancorché eretta su suolo pubblico, perché per l’esclusione del suddetto obbligo, a norma dell’art. 879 secondo comma, cod. civ., è necessario che la costruzione e la veduta siano separati da una pubblica via e non siano nel medesimo lato di essa” (Cassaz. n. 16117/2000), confermando, altresì, come l’esistenza di un’eventuale autorizzazione ad edificare, da parte del Comune, non pregiudica i diritti dei terzi i quali, ove lesi dalla costruzione realizzata senza il rispetto delle disposizioni sulle distanze, conservano il diritto ad ottenere la riduzione in pristino (Cassaz. n. 13639/2000; Cassaz. n. 8935/2015).
Il rispetto delle distanze in senso verticale ed il diritto di veduta in appiombo
L’art. 907 c.c. prevede genericamente una distanza di rispetto dalle vedute di tre metri.
La Giurisprudenza di settore si è preoccupata di specificare come il rispetto delle distanze legali si estenda non solo in senso orizzontale ma anche verticale, statuendo che: “ Poiché le vedute, ai sensi dell’art. 907 cod. civ., implicano il diritto ad una zona di rispetto che si estende per tre metri in direzione orizzontale dalla parte più esterna della veduta e per tre metri in verticale rispetto al piano corrispondente alla soglia della medesima, ogni costruzione che venga a ricadere in questa zona […] è illegale e va rimossa”(Per tutte: Cassaz. n. 4389/2009; Cassaz. n. 15381/2001; Cassaz. n. 5390/1999; Cassaz. n. 4608/2012).
L’elaborazione di tale fattispecie ha, infine, portato gli operatori a riconoscere un vero e proprio diritto di veduta in appiombo, prevedendo come “Il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi alla costruzione di altro condomino (nella specie, un pergolato realizzato a copertura del terrazzo del rispettivo appartamento), che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l’esercizio di tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita” (Per tutte: Cassaz. n. 955/2013; Cassaz. n. 13012/2000; Cassaz. n. 1261/1997; Cassaz. n. 3109/1993; Cassaz. n.2873/1991).

Avv. Marco Perrina
Delegazione UPPI San Lazzaro di Savena