Gli orientamenti dei giudici marzo 2015

GLI ORIENTAMENTI DEI GIUDICI MARZO 2015

“Innaffiare” la vicina di casa non è reato: parola di Cassazione
Corte di Cassazione, Sezione 5 penale, Sentenza 8 gennaio 2015, n. 460
Le liti in condominio sono all’ordine del giorno, ma il caso deciso dalla Cassazione il mese scorso ha ad oggetto una vera e propria “doccia fredda” che un infuriato vicino di casa ha riservato ad un altro condomino. A tale proposito la Suprema Corte ha stabilito che il reato di ingiuria, infatti non si consuma solo attraverso lo scritto o la parola, ma può compiersi anche attraverso “comportamenti”, cioè con atti materiali (ingiuria reale), che manifestino un sentimento di disprezzo verso la persona offesa e siano, quindi, tali da offendere il suo onore o il suo decoro (Sez. 1, 10/08/2001 n. 36297; Cass., sez. 5, 18 aprile 2000, Ciardo, rv. 216545; Cass., sez. 1, 21 settembre 1999, Chioni, rv. 214423; Sez. 3, 17/12/1999). Tuttavia, nel caso di specie, la condotta contestata al (OMISSIS) di avere “innaffiato” la (OMISSIS) con la “gomma dell’acqua”, non integra in sè il delitto di cui all’articolo 594 c.p., non presentandosi tale gesto oggettivamente idoneo a ledere l’onore e il prestigio della persona offesa”. Invero, nel caso in cui la manifestazione di disprezzo non si traduca in “espressioni” offensive, immediatamente lesive dell’onore e del decoro della p.o., ma si realizzi attraverso un “gesto”, un atto materiale, occorre che esso palesi in sé la carica ingiuriosa, o comunque, in considerazione di particolari circostanze, dei rapporti tra le parti, dei contesto insomma in cui si è inserito, lasci chiaramente intendere il disprezzo dell’autore nei confronti della vittima nel compiere quel gesto. Nel caso in esame, dunque, la Corte ha ritenuto che, mancando una specifica contestualizzazione del gesto “incriminato”, l’atto dell’innaffiare non avesse portata offensiva, e che, pertanto, non potesse ritenersi integrata la condotta di cui all’art. 594 c.p. ad opera dell’”innaffiante”.
Bed&Breakfast in condominio: quando è ammesso.
Cassazione civile, sez. II, sentenza 20.11.2014 n° 24707
Nel caso di specie, un condomino aveva adibito il proprio appartamento ad attività di affittacamere. Il condominio aveva pertanto agito in giudizio ritenendo che tale comportamento violasse il regolamento condominiale che prevedeva il divieto di destinare gli appartamenti a uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato. Secondo il condominio tale disposizione escludeva l’esercizio di attività alberghiera. La Corte di Cassazione invece così statuito: “La Corte d’appello ha, [..] con argomentazioni logiche e coerenti, ritenuto che la disposizione regolamentare, tenuto conto che la destinazione a civile abitazione costituisce il presupposto per la utilizzazione di una unità abitativa ai fini dell’attività di bed and breakfast (…), non precludesse la destinazione delle unità di proprietà esclusiva alla detta attività.” In sostanza, secondo la Corte, lo svolgimento di attività di affittacamere non costituisce modificazione della destinazione d’uso per civile abitazione delle unità immobiliari e, dunque, l’uso di un immobile per svolgervi attività di affittacamere risulta pienamente legittimo e non in contrasto con l’“uso abitativo” a cui sono vincolati i condomini. Ciò, ovviamente, a meno che il condominio, o ciascun condomino, non fornisca la prova specifica del fatto che l’esercizio di tale attività sia lesivo dei suoi interessi.
Agevolazioni prima casa e abitazioni di lusso: cantina e sottotetto non contano.
Cassazione civile, sez. VI-T, ordinanza 04.11.2014 n° 23507
Con una recente ordinanza la Suprema Corte si è pronunciata chiarendo alcuni aspetti inerenti uno dei molti punti controversi e di difficile interpretazione nel mare magnum della legislazione italiana. In particolare, nel caso di specie, il ricorso era stato proposto dall’Agenzia delle Entrate, in una controversia concernente un avviso di liquidazione delle ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale, conseguente alla revoca dei benefici fiscali cosiddetti “prima casa” per avere l’Ufficio ritenuto l’immobile “di lusso”. Ha chiarito infatti la Corte che, ai fini del beneficio prima casa, nel calcolo della superficie utile dell’immobile non devono essere considerate cantine e soffitte, nonché la superficie esterna in quanto condominiale. A tale riguardo ha richiamato quanto previsto dal D.M. 2 agosto 1969 secondo il quale sono considerate di lusso:
Le case composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale avente superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed aventi come pertinenza un’area scoperta della superficie di oltre sei volte l’area coperta.
Le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine).”
Pertanto, non è da considerarsi di lusso l’immobile la cui superficie, escluse dal calcolo della superficie utile complessiva cantine e sottotetti oltre che la superficie esterna di pertinenza del condominio, non superi i limiti previsti dal D.M. 2 agosto 1969.

Successione e separazione: quando il diritto di abitazione va negato all’ex coniuge.
Cassazione civile, sez. II, sentenza 22.10.2014 n° 22456
Protagonisti di questo caso sono padre e figlia. A seguito della morte dell’ex moglie infatti, l’uomo aveva agito per ottenere la riduzione delle disposizioni testamentarie della moglie, in quanto erede legittimario totalmente pretermesso, ed aveva ottenuto ragione, acquisendo il diritto di abitazione della casa familiare – a norma degli artt. 540 e 548 del Codice Civile – a scapito della figlia, che pur essendo usufruttuaria dell’immobile in base al testamento, aveva dovuto lasciarlo. La figlia si rivolgeva prima al Tribunale di Roma e poi alla Corte d’appello, chiedendo la condanna di suo padre al pagamento di un’indennità per il mancato godimento dell’appartamento di cui era stata spossessata, pur essendone usufruttuaria per la quota di metà per successione testamentaria. Entrambi i grandi di giudizio respingevano la sua domanda. La Corte di Cassazione però, riformando tali decisioni, ha richiamato l’importante sentenza 12 giugno 2014 n. 13407 (la prima ad essersi pronunciata sulla questione) che così ha statuito: “Il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite […], ha ad oggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare” e “si identifica con l’immobile in cui i coniugi […] vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare”; “la ratio della suddetta disposizione è da rinvenire non tanto nella tutela dell’interesse economico del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare”, quali “la conservazione della memoria del coniuge scomparso, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio”; che “l’art. 548 c.c., comma 1, equipara, quanto ai diritti successori attribuiti dalla legge, il coniuge separato, senza addebito, al coniuge non separato”, ma “in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola”, sicché “l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi”.
Locazione ad uso diverso di quello abitativo: nulle le pattuizioni di nuovi canoni.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 20 ottobre 2014, n. 22236
Di recente la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in relazione ad un contratto di locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello abitativo, nel quale era stato previsto non un adeguamento del canone ad indici ISTAT, ma veri e propri nuovi canoni di locazione. A tale proposito la Corte ha così statuito: “In tema di locazione di immobili adibiti a uso diverso da quello abitativo, ogni pattuizione avente a oggetto non già l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell’articolo 32 della legge n. 392 del 1978, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ex articolo 79, comma 1, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti”.

Danni a terzi in condominio: solidarietà o parziarietà delle obbligazioni?
Corte di Cassazione, sez. II civile – sentenza 29 gennaio 2015, n.1674
Nel caso in esame, il proprietario di un magazzino al piano scantinato e di locali adibiti ad esercizio commerciale, conveniva in giudizio il condominio e i singoli condomini per vederli condannare al risarcimento dei danni subiti a causa di infiltrazioni di acqua. La Cassazione si è pronunciata lo scorso 29 Gennaio affermando che il risarcimento del danno da cosa in custodia di proprietà condominiale non si sottrae alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, 1° comma c.c., per cui vanno individuati nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili.

Ponteggi: no alla corresponsabilità del condominio e dell’impresa nel furto in appartamento.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 19 dicembre 2014, n. 26900
Un Condomino conveniva l’impresa appaltatrice dei lavori di ripulitura delle facciate dello stabile ed il condominio al fine di ottenerne la condanna in via solidale al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del furto di gioielli ed altri preziosi verificatosi nel suo appartamento. Asseriva che il furto era stato agevolato dai ponteggi e dalle impalcature installati dai convenuti senza adottare misure anti-intrusive. La domanda del condomino, accolta in primo grado, veniva rigettata in grado di appello e così confermata dalla Cassazione. La Corte Suprema, infatti, ha ritenuto che i giudici del merito avevano puntualmente e analiticamente valutato tutte le circostanze invocate dal ricorrente, giungendo alla conclusione, da un lato, che “non v’era prova che il ponteggio fosse pericoloso” o “possedesse caratteristiche atte a agevolare l’intrusione di malintenzionati nell’appartamento dell’attore all’ottavo piano”, dall’altro, che il ricorrente aveva partecipato ed aderito “espressamente alla delibera con la quale il condominio… malgrado la sollecitazione dell’impresa… aveva deciso di non installare l’impianto antifurto per il suo rilevante costo” e che, infine, lo stesso ricorrente aveva omesso “qualsiasi cautela idonea a evitare o rendere difficoltosa l’opera di eventuali ladri” [palesemente non evita, o rende più difficile la sottrazione di preziosi la circostanza che gli stessi siano conservati in una scatola nell’armadio della camera da letto].
È legittimo trasformare il posto auto in box.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 16 dicembre 2014, n. 26426
In materia di posto auto chiuso e trasformato in vero e proprio garage, la Cassazione ha accolto il principio espresso dai giudici di merito, secondo il quale sussiste “la facoltà concessa al proprietario, a norma dell’art. 841 c.c. di recintare (chiudere) il proprio fondo in qualunque tempo”.
La Suprema Corte ha poi precisato che “il condominio che abbia acquistato in proprietà esclusiva lo spazio destinato al parcheggio di un autoveicolo, ancorché sito nel locale adibito ad autorimessa comune del condominio, ha facoltà a norma dell’articolo 841 c.c., di recintarlo anche con la struttura di un cosiddetto box, sempre che non gliene facciano divieto l’atto di acquisto o il regolamento condominiale avente efficacia contrattuale e non derivi un danno alle parti comuni dell’edificio ovvero una limitazione al godimento delle parti comuni dell’autorimessa” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5933 del 25/05/1991).
La Corte al riguardo ha escluso che nella fattispecie in esame vi fossero i suddetti elementi ostativi, esaminando nel dettaglio le varie problematiche che al riguardo erano state sollevate in riferimento all’inglobamento di alcune “cose” di proprietà del condominio (chiusino d’ispezione della rete fognante, 2 saracinesche dell’acqua potabile e tubature passanti; un interruttore temporizzato e un punto luce del garage).
Avv. Rosalia Del Vecchio
Delegazione UPPI Castel Maggiore