GLI ORIENTAMENTI DEI GIUDICI Settembre 2013
1)LOCAZIONE E DANNI ALL’IMMOBILE:
Se l’immobile locato presenta gravi danni la proprietà può legittimamente rifiutarne la consegna ed ottenere il pagamento del canone da parte del conduttore fino a quando quest’ultimo non abbia pagato i danni?
Cassazione Civile, Sez. III, sentenza 24/05/2013 n. 12977
La Cassazione con la pronuncia in esame ha fornito risposta positiva al quesito sopra indicato e si è così espressa.
Se il conduttore ha arrecato all’immobile gravi danni o effettuato non consentite innovazioni di tale rilievo che, nell’economia del contratto, sia necessario l’esborso di notevoli somme per eseguire le opere di ripristino, il rifiuto del locatore di ricevere la restituzione è in via di principio legittimo fino a quando quelle somme non siano state corrisposte dal conduttore; la legittimità del rifiuto del locatore comporta, in applicazione dell’art. 1220 c.c., che fino ad allora persisterà la mora del conduttore, che sarà dunque tenuto anche al pagamento del canone ex-art. 1591 c.c., quand’anche abbia smesso di usare l’immobile secondo la destinazione convenuta (al riguardo si veda Cass. N. 1941/2003).
Attenzione però!
La Suprema Corte ha, altresì, precisato che l’applicazione del suddetto principio non può ritenersi incondizionata ed automatica. Non potrà, ad esempio comportare la paradossale conseguenza che, in caso di oggettiva difficoltà economica del conduttore a provvedere alle necessarie opere, egli possa essere tenuto a pagare il canone indefinitamente, sol che il locatore continui a rifiutare la restituzione. Potrà altresì tenersi conto della situazione economica del locatore, in ipotesi in grado di affrontare senza particolari difficoltà le spese di ripristino, e per tale via escludersi che il rifiuto di ricevere la restituzione sia legittimo, con conseguente esclusione della mora debendi del conduttore.
Altra circostanza da segnalare è poi la seguente: nella sentenza in esame si afferma chiaramente che quando la cosa locata risulti deteriorata per non avere il conduttore adempiuto all’obbligo di eseguire le opere di piccola manutenzione durante il corso della locazione, trattandosi di rimuovere deficienze che non alterano la consistenza e la struttura della cosa e non implicano l’esplicazione di un’attività straordinaria e gravosa, l’esecuzione delle opere occorrenti per il ripristino dello status quo ante rientra nel dovere di ordinaria diligenza cui il locatore è tenuto per non aggravare il danno, ed il suo rifiuto di ricevere la cosa è conseguentemente illegittimo, salvo diritto al risarcimento dei danni per violazione del disposto di cui all’art. 1590 c.c..
2) CONDOMINIO E DANNI:
Il costruttore è responsabile e va condannato anche per i difetti dell’opera che consistano in effetti di condensa e infiltrazioni di umidità? Tali difetti rientrano nell’art. 1669 c.c.?
Cassazione Civile, Sez. II, sentenza n. 11/06/2013 n. 14650
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha fornito risposta positiva al quesito sopra indicato.
Il caso.
Il condomino X citava in giudizio il costruttore dell’edificio, per sentirlo condannare all’eliminazione dei difetti dell’opera consistenti in effetti di condensa, infiltrazioni di umidità, difetti di coibentazione termica delle strutture perimetrali dell’edificio, mancata sigillatura degli infissi, al pagamento della somma necessaria allo scopo, oltre al risarcimento dei danni. Il costruttore Y si costituiva in giudizio ed eccepiva la decadenza del condominio dall’azione per decorso del termine entro cui denunciare i vizi (ex-art. 1667 c.c. ).
Il Tribunale accoglieva la domanda del condomino riqualificandola ai sensi dell’art. 1669 c.c. e condannava il costruttore.
La Corte d’appello, successivamente, ribaltava la sentenza di primo grado affermando che l’azione poteva essere qualificata sub art. 1669 c.c. solo ove fondata su difetti costruttivi così gravi da incidere sulle componenti essenziali dell’opera, tali cioè da influire su tutti quegli elementi che devono essere presenti affinché l’opera stessa possa fornire la normale sua utilità in rapporto alla sua funzione pratico-economica. Riteneva nello specifico che i fenomeni di condensa lamentati non presentassero le dette caratteristiche, che non fossero riconducibili solo ad un inadeguato isolamento termico, dovendosi ricollegare ad un uso improprio degli alloggi, visto che il problema non si era verificato con pari intensità in tutte le unità abitative aventi la medesima esposizione e verticalità.
La Suprema Corte con la sentenza in esame, in riforma della pronuncia di secondo grado, ha, invece, accolto il ricorso del condomino sulla base degli assunti di cui in prosieguo.
Secondo l’orientamento oramai consolidato della Corte i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. non si identificano con vizi influenti sulla staticità dell’edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione incidente sulla struttura e sulla funzionalità dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile (si vedano Cass. 84/13, 2238/12, 3752/07). L’incidenza negativa dei difetti costruttivi inclusi nell’art. 1669 c.c., può consistere in particolare, in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa ( e perciò non determinandone la “rovina” od il “pericolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica, i rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo (così Cass. n. 11740/03, pronunciata in un caso di difettosa impermeabilizzazione del manto di copertura dell’edificio con relativi problemi di infiltrazione).
Infine, l’interpretazione di detta norma si è spinta fino a considerare rientranti nella nozione di gravi difetti anche le infiltrazioni di acqua determinate da carenza di impermeabilizzazione (Cass. n. 11740/03, 117/00 e 2260/98) e da inidonea realizzazione degli infissi (Cass. n. 8140/04 e 1164/95), difetti che, senza richiedere opere di manutenzione straordinaria, possono essere eliminati solo con gli interventi di manutenzione ordinaria indicati dalla L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 31, lett.a, e cioè con “opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici, o con “opere necessarie per integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti” (così Cass. n. 1164/95).
3) COMPRAVENDITA IMMOBILI E RESPONSABILITA’ DEL NOTAIO ROGANTE
Il notaio va condannato se non verifica l’esistenza di una ipoteca sull’immobile per essere stato esonerato dall’acquirente dall’effettuare le visure ipotecarie sul bene?
Cass. civile Sez. III sentenza 13/06/2013 n. 14865
La Suprema Corte ha fornito una risposta positiva al quesito sopra indicato.
Secondo la Corte soltanto la concorde volontà delle parti e non solo quella del soggetto che ha concluso il contratto d’opera intellettuale con il notaio (e si è fatto carico del pagamento del compenso) può esonerare il notaio dallo svolgimento delle attività accessorie e successive, necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti, e, in particolare, dal compimento delle visure catastali e ipotecarie al fine di individuarne con esattezza il bene e verificarne la libertà da ogni gravame (cfr Cass. 25270/2009, Cass. 5868/2006).
Infatti, tenuto conto delle connotazioni peculiari della funzione notarile, per cui aspetti privatistici della prestazione si intersecano con il carattere pubblico di interesse generale dell’attività professionale, ne discende che l’interesse al compimento delle visure, da parte del pubblico ufficiale, è non solo dell’acquirente, ma anche del venditore, cui torna utile non trovarsi successivamente esposto, in caso di scoperta di vincoli o pesi sul bene ceduto, ad azioni di risoluzione, con inevitabili effetti restitutori, ovvero di garanzia o di risarcimento danni.
Da ciò consegue che se il notaio non adempie correttamente alla propria prestazione, ivi compresa quale attinente alle attività preparatorie (tra cui quella di visure catastali ed ipotecarie) sussiste la sua responsabilità contrattuale nei confronti di tutte le parti contrattuali, che da tale comportamento abbiano subito danni, non essendo sufficiente che solo una parte l’abbia esonerato da responsabilità.
Quanto all’entità del danno la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata che aveva ritenuto di liquidarlo nella somma pari a quella richiesta per la liberazione del bene acquistato dal vincolo ipotecario.
4) IMMOBILI: PRELIMINARE DI COMPRAVENDITA
Il promissario acquirente di un immobile può chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni nell’ipotesi in cui il promittente venditore abbia taciuto in sede di preliminare l’esistenza di una ipoteca sull’immobile?
Cassazione civile , Sezione II civile Sentenza 28 maggio 2013 n. 13208
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha fornito una risposta affermativa al quesito sopra indicato.
Il caso.
La signora X, promissaria acquirente, citava in giudizio la signora Y, promittente venditrice, per la risoluzione del contratto per inadempimento di quest’ultima e per il risarcimento dei danni. A fondamento della domanda deduceva che la signora Y non aveva provveduto a cancellare l’ipoteca dichiarata nel preliminare che gravava sull’immobile, nonostante la caparra versata di €. 100 milioni versata proprio a tal fine, tanto che non le era stato possibile, a sua volta, contrarre un mutuo ipotecario in tempo utile per la stipula del definitivo ed il saldo della somma convenuta. Inoltre, sull’immobile gravava anche un’altra ipoteca, questa non dichiarata, iscritta dal condominio. La signora Y resisteva in giudizio, affermando che il preliminare prevedeva la cancellazione dell’ipoteca entro la data del rogito. Chiedeva il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto per inadempimento della signora X, cui addebitava il mancato versamento del residuo prezzo.
Il Tribunale adito accoglieva la domanda della promissaria acquirente dichiarando risolto il contratto per inadempimento della promittente venditrice (signoraY) che condannava al risarcimento dei danni.
La Corte d’appello, successivamente, riformava la sentenza di primo grado dichiarando risolto il contratto per inadempimento della promissaria acquirente (signora X).
Successivamente la Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha accolto il ricorso con il quale la signora X ha chiesto, in riforma della sentenza d’appello, la risoluzione del preliminare per inadempimento del venditore ed il conseguente risarcimento del danno.
La Suprema Corte ha, infatti, affermato che in sede di appello non si era tenuto conto che oltre all’ipoteca espressamente contemplata tra le parti ( e non cancellata), sull’immobile promesso gravava altra ipoteca non dichiarata iscritta in forza di un decreto ingiuntivo richiesto dal condominio. Detta circostanza era assolutamente decisiva ai fini del giudizio per ragioni di carattere generale e particolare.
Sotto il primo aspetto, perché ai sensi dell’art. 1482 c.c. (la cui applicabilità analogica al contratto preliminare è costantemente affermata da varie pronunce. Si vedano Cass. 3565/02, 15380/00, 9498/94 e 4450/82) il promissario acquirente, se la cosa promessa è gravata da garanzie reali (o da pignoramento, o sequestro) non dichiarati dal promettente venditore, può sia sospendere il pagamento del prezzo, sia domandare la risoluzione del contratto, avendo egli la facoltà, non l’obbligo di chiedere al giudice la cancellazione dei gravami (si vedano sul punto Cass. 19097/09 e 15380/00). In ogni caso, fin tanto che questi ultimi non siano cancellati è legittimo il rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo (Cass. 1431/79).
Sotto il secondo aspetto, perché nel contratto il saldo prezzo avrebbe dovuto essere pagato al momento del rogito notarile “mediante mutuo bancario richiesto a cura e spese dell’acquirente” con l’ulteriore previsione che “la parte venditrice, a tale scopo, si era impegnata a fornire tutta la documentazione necessaria alla stipula del contratto di mutuo e di vendita e ad essere terzo datore di ipoteca”. Orbene, è evidente che l’esistenza di una ipoteca non dichiarata nel preliminare consentiva alla promissaria acquirente (signora X) di chiedere senz’altro la risoluzione del contratto e di sospendere il pagamento del prezzo anche in considerazione del fatto che, per espressa clausola contrattuale, il pagamento stesso del prezzo richiedeva la cooperazione della promettente venditrice (signora Y) che si sarebbe dovuta costituire terza datrice di ipoteca ai fini della concessione del mutuo. Ed è di solare chiarezza che la presenza del gravame impediva sia la dazione di ipoteca che la contrazione del mutuo.
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Avv. Rosalia Del Vecchio
Delegazione UPPI Castel Maggiore