GLI ORIENTAMENTI DEI GIUDICI – SETTEMBRE 2015
Coniugi separati: a chi spettano le spese condominiali?
Corte di Cassazione, sentenza n. 11024/15
Il caso. Nel caso in cui alla ex moglie sia assegnata casa coniugale, il marito è tenuto al pagamento delle spese condominiali? A questa domanda si è trovata a dover rispondere la Corte di Cassazione lo scorso aprile. In particolare, il marito sosteneva di non dover contribuire alle spese condominiali in quanto nelle condizioni di divorzio non erano indicate espressamente, ma si parlava solamente genericamente di spese ordinarie e straordinarie.
Diritto. La Suprema Corte si è espressa a tale proposito ed ha così statuito: non è sostenibile che tra le spese ordinarie e straordinarie relative ad un immobile non possano ricomprendersi, per limiti lessicali, anche le spese condominiali. Vero invece il contrario, essendo il carattere della ordinarietà e straordinarietà del tutto indipendente dal carattere condominiale o individuale delle spese inerenti ad un immobile. Ciò che conta è, appunto, l’inerenza a quest’ultimo, e non è vero che tale inerenza difetti, quanto alle spese condominiali, per il solo fatto che esse attengono alle parti comuni dell’immobile, piuttosto che alle singole unità di proprietà individuale: vi osta la stretta connessione delle parti di proprietà comune con quelle di proprietà individuale. Del resto le stesse spese condominiali sono suscettibili di essere qualificate, a seconda dei casi, come ordinarie o straordinarie”.
Nuova scala in condominio: quando il vantaggio è di un solo edificio, chi paga?
Corte di Cassazione, sentenza n. 10483/2015
Il fatto. Nel napoletano, in un condominio composto da due androni e due scale, veniva realizzata una nuova scala di accesso ad uno solo di essi. La questione, dibattuta fin davanti alla Corte di Cassazione, riguardava quindi la ripartizione delle spese di questa innovazione: chi avrebbe dovuto contribuire alle spese? I condomini di entrambe le scale o solo quelli che ne avrebbero usufruito?
Diritto. La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi nella recentissima sentenza di metà maggio, si è espressa sottolineando che le scale, con i relativi pianerottoli, costituiscono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano, pertanto, fra le parti di questo che, in assenza di titolo contrario, devono presumersi comuni nella loro interezza, ed anche se poste concretamente al servizio soltanto di talune delle porzioni dello stabile, a tutti i partecipanti alla collettività condominiale in virtù del dettato dell’articolo 1117 c.c., n. 1, (Cass. 12-2-1998 n. 1498)[…]. In tale ottica, è stato precisato che le scale, essendo elementi strutturali necessari alla edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto e al terrazzo di copertura, conservano la qualità di parti comuni, cosi’ come indicato nell’articolo 1117 c.c. […].
La scala è quindi da considerarsi parte comune e tutti i condomini sono tenuti a contribuire alle spese di realizzazione, anche se non ne usufruiscono direttamente.
Quando un corridoio è condominiale?
Corte di Cassazione, sentenza n. 12157, 11 giugno 2015
Il fatto. Nel caso in esame, deciso dalla Corte di Cassazione con sentenza del 11 giugno 2015, si è discusso della natura condominiale di un corridoio che dava accesso ad alcune cantine nel sottotetto condominiale. In particolare un’impresa aveva acquistato gran parte delle cantine in questione dai precedenti condomini proprietari e, nel corso dei lavori di ristrutturazione, aveva inglobato alle proprie cantine di proprietà esclusiva anche il corridoio di servizio condominiale. Quale interesse prevale in un caso del genere? Quello del condominio che voleva riconosciuto il carattere comune del corridoio nel sottotetto, oppure quello della società che sosteneva invece l’esclusività del corridoio?
Diritto. Su ricorso della società si è pronunciata la Suprema Corte ribadendo il consolidato principio in base al quale la natura del sottotetto è, in primo luogo, determinata dai titoli. Solo in difetto di questi ultimi, il sottotetto può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune. Sulla base di questo principio la Corte ha stabilito che in una condizione come quella descritta la presunzione di proprietà comune, di cui all’art. 1117 c.c. si fonda su elementi obiettivi che rivelano l’attitudine funzionale del bene al servizio o al godimento collettivo: la creazione di un corridoio presuppone infatti un uso che serva alla collettività, funzionale a due o più numerose proprietà singole […].
Rilevante quindi secondo la corte è la pluralità dei soggetti potenzialmente utilizzatori del corridoio. Pluralità di soggetti? Confermata la natura condominiale del corridoio.
Parcheggi privati, lucchetti, pubblica via
TAR Regionale Sicilia – Palermo, sez. 2, Sent. 25 maggio 2015, n. 1224
Il fatto. Nella splendida cornice siciliana di Cefalù si è consumata la vicenda che ha visto impegnato il Tar di Palermo. Un condominio aveva delimitato con paletti in ferro, catena e lucchetti i parcheggi privati siti nell’area antistante l’edificio e collocati su una pubblica via. Il Comune era intervenuto ingiungendo al Condominio di rimuovere la delimitazione. Avverso questo provvedimento ricorreva il Condominio sostenendo che l’area delimitata era privata in quanto non risultava ceduta o vincolata in favore dell’ente territoriale; oltretutto si trattava di strada chiusa e privata non soggetta al pubblico transito, ma al passaggio occasionale di un numero ristretto di persone.
Diritto. Il Tribunale amministrativo regionale siciliano si è pronunciato ribadendo un principio consolidato in virtù del quale ai fini della qualificazione di una strada come vicinale pubblica occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria qualora rilevino il passaggio esercitato “iure servitutis pubblicae” da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può però anche identificarsi nella mera protrazione dell’uso da lunghissimo tempo.
Il Tar ha pertanto ritenuto che non potesse essere disconosciuto all’amministrazione comunale il potere-dovere di intervenire, in autotutela, a difesa dell’uso pubblico della strada, pregiudicato dall’abusiva attività dei privati. Pertanto, rimossi tutti i lucchetti e parcheggi riaperti, con buona pace del condominio.
La casa sull’albero, quando la realtà supera l’immaginazione, ma non le norme amministrative.
Corte di Cassazione, sentenza n. 21029 del 21 maggio 2015
Il fatto. Tra i sogni nel cassetto da bambini, complici anche i telefilm d’oltreoceano, c’è sicuramente la casa sull’albero. L’ingenuità, o presunta tale, di questo progetto però è costata cara al protagonista di questa vicenda che ha impegnato di recente la Suprema Corte. Le questioni, al di là della fantasia, sono molto concrete e riguardano in particolare i vincoli paesaggistici e le autorizzazioni necessarie per portare avanti, legittimamente, un progetto così ambizioso. Il ricorrente sosteneva che la casa sull’albero non fosse soggetta ai controlli della pubblica autorità per diverse ragioni: mancanza di fondamenta, impiego di legno e non di cemento, mancanza di impianti di qualsiasi genere, funzione non abitativa e facile e veloce removibilità.
C’è da chiedersi a questo punto se un manufatto del genere, per il solo fatto di essere precario non sia soggetto al rilascio del permesso di costruire.
Diritto. La Corte ha risposto negativamente a questa domanda, sottolineando che le dimensioni della casa e la sua potenziale abitabilità violavano il vincolo paesaggistico di quell’area e pertanto integravano i presupposti di una condotta penalmente rilevante e punibile a titolo di abuso edilizio. Condannato quindi il suo proprietario-costruttore e sogno infranto.
Piscina su terreno condominiale : legittima o no?
Corte di Cassazione, sentenza n. 8822 del 30 aprile 2015
Il fatto. Le piscine all’aperto per chi rimane in città rappresentano sempre una valida alternativa al torrido caldo estivo. Interessante però che la piscina in questione fosse stata realizzata su terreno condominiale destinato, secondo il regolamento, a giardino. La Corte di Cassazione si è quindi occupata di definire se ed in che modo tale costruzione potesse essere legittima, alla luce di quanto previsto nel regolamento del condominio.
Diritto. Orbene, mentre i giudici della Corte d’Appello avevano ritenuto illegittima l’edificazione della piscina per violazione del regolamento condominiale, gli Ermellini hanno ritenuto che “è vero che in astratto la definizione di giardino non contempla la piscina, mentre prevede, in alcune varianti, fontane, cascate e specchi d’acqua, ma la questione non è nominalistica occorrendo […] la verifica in concreto delle caratteristiche specifiche del manufatto e del contesto in cui si inserisce, senza trascurare, peraltro, che la previsione regolamentare di “mantenere a giardino” il terreno non edificato è specificata, in via esemplificativa, con il divieto di costruire ricoveri per animali da cortile, cioè manufatti che per definizione non rientrano nel concetto di giardino […]. Con la conseguenza che rimane priva di supporto l’affermazione della non riconducibilità della piscina alla previsione regolamentare”.
Nel caso di specie quindi la Corte di Cassazione ha fatto salva la piscina, per la gioia di – quasi – tutti i condomini.
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Alla prossima rassegna!
Avv. Rosalia Del Vecchio
Delegazione UPPI Castel Maggiore